Tutto il mondo, ed anche l’Unione europea, sta cercando di prepararsi agli scenari che si creeranno quando il presidente Usa eletto Donald Trump realizzerà le sue promesse, quelle elettorali e quelle nuove, che tira fuori praticamente ogni giorno.
Cosa succederà se davvero il prossimo presidente degli Stati Uniti riuscisse a far terminare la guerra in Ucraina, che equilibri si creerebbero? In Palestina ha promesso di mettere il territorio a ferro e fuoco se gli ostaggi non saranno liberati prima del suo insediamento, il 20 gennaio. Che cosa vorrebbe dire per Tel Aviv? Le sue minacce di ridurre il contributo alla Nato potranno portare a un rafforzamento delle capacità difensive autonome dei Paesi europei? Se funzionasse la sua singolare teoria economica secondo la quale aumentando i dazi l’economia statunitense si rafforzerà, come risponderà l’Unione europea?
Ancora da pensare sono le reazioni agli ultimissimi annunci della possibilità di invadere la Groenlandia e di riprendere con la forza il controllo del Canale di Panama. Trump ha anche detto che sarebbe opportuno che il Canada diventasse il cinquantunesimo Stato degli Usa. Forse anche il mondo dei geografi inizierà da oggi a confrontarsi sulla questione del nuovo nome proposto per il Golfo del Messico, che secondo Trump dovrebbe chiamarsi Golfo dell’America.
Su qualcosa si sorride con ironia, ma in generale le parole di Trump vengono giustamente prese sul serio, e il dibattito è sul cosa succederà dopo, su che aspetto avranno l’economia, il Mondo e la politica internazionale “dopo”. E’ giusto farlo, è il mestiere della politica. Bisogna evitare di farsi prendere alla sprovvista.
E se invece Trump fallisse? Con il Covid fu così, gli Usa hanno avuto in quegli anni più morti dei militari caduti in tutte le guerre dal 1945 in poi, secondo alcuni calcoli.
Se non riuscisse a far terminare la guerra della Russia in Ucraina? Se Hamas non libererà gli ostaggi entro 12 giorni? Se partisse alla conquista della Groenlandia e il gelo fermasse il suo esercito? E se la politica dei dazi a pioggia, come prevedono molti economisti, danneggerà gravemente l’economia statunitense?
A meno di quindici giorni dall’insediamento la sensazione è che il prossimo presidente Usa possa perdere almeno alcune delle sue scommesse. La pretesa amicizia di Trump con Vladimir Putin (che, lo diciamo per inciso, invece non è amico di nessuno) non sta portando al momento verso significativi passi avanti nel processo verso la pace, almeno nei tempi promessi da Trump, sempre prima del 20 gennaio. E gli sviluppi dipenderanno più dalle difficoltà economiche e militari russe che da interventi esterni.
In Israele di fine delle ostilità neanche a parlarne. Il governo in carica non sembra intenzionato a rallentare il suo intervento, mentre alcuni coloni vogliono allargare i territori illegalmente occupati, estendendosi anche al zone nel sud del Libano.
Trump ha sparato molto alto, ha promesso l’impossibile, il che rende difficile il successo.
E dunque se Trump fallisse, almeno nelle sue promesse elettorali pubbliche, cosa succederebbe? Potrebbero esserci quattro anni di instabilità e nervosismi, ma senza cambiamenti significativi nella politica internazionale. Potrebbe scoppiare la rabbia interna agli Usa, sulla scia della pressione di coloro che chiederebbero conto a Trump del loro investimento elettorale (sia chi ha dato soldi, sia chi ha solo dato il voto).
Non lo sappiamo, oggi, cosa potrebbe succedere. Ma è il caso di aprire una riflessione anche su questo, sul non dare per scontato che quel che Trump ha annunciato accadrà, e dunque sugli effetti dei possibili fallimenti del prossimo presidente Usa.