Bruxelles – Sono giorni di trattative frenetiche a Parigi, dove si cerca la quadra per dare alla Francia un nuovo governo dopo la caduta dell’esecutivo di Michel Barnier, il meno longevo della Quinta Repubblica. Il presidente Emmanuel Macron ha assicurato ieri (10 dicembre) che entro la giornata di domani tirerà fuori dal cilindro un nome per guidare il prossimo esecutivo, che nei suoi piani dovrebbe ottenere il sostegno di tutto l’arco parlamentare eccetto la sinistra radicale e l’estrema destra. E che dovrà dare al Paese un bilancio per l’anno prossimo.
Negli episodi precedenti
Lo scorso 4 dicembre, Barnier è stato sfiduciato dall’Assemblée nationale, la camera bassa del legislativo transalpino. L’ex commissario europeo e negoziatore Ue per la Brexit è inciampato sul progetto di bilancio per il 2025, e ora i conti pubblici francesi (ma anche il differenziale coi titoli decennali del tesoro tedesco) stanno spaventando l’intera eurozona, dove si teme il rischio contagio.
Il weekend appena concluso è stato occupato dalla riapertura della cattedrale di Notre-Dame a Parigi, dove Macron ha accolto i capi di Stato e di governo di mezzo mondo (inclusi il presidente italiano Sergio Mattarella, il presidente-eletto statunitense Donald Trump, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e quella georgiana Salomé Zourabichvili) per provare a dimostrare di avere ancora un peso sul palcoscenico internazionale all’indomani della storica firma, da parte di Ursula von der Leyen, dell’accordo commerciale Ue-Mercosur, cui la Francia si è sempre opposta con forza ma che, alla fine, monsieur le Président non è riuscito a impedire.
Strada in salita
Poi, con l’inizio della settimana, la politica interna è tornata la preoccupazione principale. Ieri Macron ha accolto all’Eliseo i rappresentanti delle forze politiche dell’emiciclo per elaborare un “contratto di metodo” che metta d’accordo quanti più partiti possibili per sostenere un governo di unità nazionale e far uscire la Francia dalla peggior crisi politica della Cinquième République. Del resto, la stessa convocazione delle consultazioni da parte del capo dello Stato è una prassi inusuale Oltralpe.
Macron punta ad un consenso centrista che vada almeno dai socialisti (Ps-Pl) di Raphaël Glucksmann e Olivier Faure fino a Les Républicains (Lr), il partito neogollista di cui fa parte lo stesso Barnier, passando naturalmente per la coalizione presidenziale Ensemble. Insieme, questi gruppi potrebbero contare su circa 280 seggi in Aula, cui nelle speranze del regista dell’Eliseo potrebbero aggiungersi anche i 55 eletti tra ecologisti e comunisti. Da questi, il capo dello Stato si aspetta, se non un appoggio diretto all’esecutivo, almeno l’impegno a non censurarlo nuovamente. La soglia per la maggioranza assoluta è fissata a quota 288 su 575.
Tuttavia, al di là dei numeri, raggiungere un accordo non sarà affatto facile. Le forze del variegato centro-sinistra transalpino, riunite nel Nouveau front populaire (Nfp), continuano a chiedere a gran voce che a palazzo Matignon, la sede del governo, si instauri un esponente progressista, sia per rispettare i risultati delle urne dello scorso luglio sia per voltare con decisione pagina sull’esperimento Barnier, sostituendo al volto storico del conservatorismo d’Oltralpe una personalità nuova. E tra i gruppi parlamentari pare esserci un muro contro muro: da Lr non sembra filtrare disponibilità a governare coi progressisti, i quali pure sarebbero dubbiosi sulla fattibilità di un governo di larghe intese.
Secondo le indiscrezioni giornalistiche, il nome più papabile per sostituire Barnier è quello di François Bayrou. Si tratta del leader 73enne del Mouvement démocrate (MoDem), uno dei partiti della coalizione macronista che detiene 36 seggi sui 166 totali di Ensemble. Bayrou ha visto Macron diverse volte negli ultimi giorni, ma non è trapelato nulla sul contenuto dei loro incontri.
Divide et impera
Ma non tutti erano stati invitati alle consultazioni. Fuori dalla porta, secondo una precisa strategia del capo di Stato liberale, sono rimasti “les extrèmes”: la sinistra radicale de La France insoumise (Lfi), guidata da Jean-Luc Mélenchon, e l’estrema destra del Rassemblement national (Rn) di Marine Le Pen e Jordan Bardella. Secondo fonti dell’Eliseo, Macron punterebbe a “non dipendere più” dal Rn, che finora ha fatto il bello e il cattivo tempo nell’emiciclo, associandosi o meno alle mozioni presentate dalla sinistra. Questo dovrebbe garantire una qualche stabilità al capo dello Stato, che ha ribadito di voler portare a termine il suo mandato, in scadenza nel 2027.
È evidente, inoltre, che l’altro obiettivo del presidente sia quello di spezzare l’unità dell’Nfp, il fronte unitario delle sinistre che poi tanto unitario non è, dato che le sue diverse anime hanno sempre fatto fatica a convivere soprattutto per l’esuberanza di Mélenchon, leader del partito che è stato premiato maggiormente alle elezioni (Lfi ha 72 seggi nell’Assemblea) ma indigesto in particolar modo ai socialistes che hanno tradizionalmente una vocazione governista. A quanto raccontano i giornali nazionali, gli insoumis starebbero cercando di “sganciare” gli ambientalisti (e magari pure i comunisti) dai socialdemocratici, facendo terra bruciata intorno a questi ultimi.
Il nodo del bilancio
Qualunque sia la sua composizione finale, il principale compito del nuovo esecutivo sarà varare una legge di bilancio per il 2025. E proprio intorno al budget per l’anno prossimo si sta svolgendo in queste ore l’ultimo consiglio dei ministri del governo dimissionario. Il risultato dovrebbe essere un “progetto di legge speciale” per garantire la continuità dell’esercizio statale da gennaio: tale documento dovrà essere esaminata il prossimo 16 dicembre dall’Assemblea e due giorni dopo dal Senato.
Secondo i media francesi, il testo sarebbe stato ridotto all’osso, autorizzando il governo ad aumentare le tasse e a spendere gli stanziamenti già decisi dal bilancio 2024. Il passaggio più delicato sarà verosimilmente, ancora una volta, l’indicizzazione delle pensioni e delle imposte sul reddito all’inflazione, come richiesto dal Rn: uno schema che però i macronisti rigettano e che lo stesso Consiglio di Stato avrebbe bocciato sanzionando l’impossibilità di includerlo nel progetto di finanziaria speciale.