Quella emozionale è una componente determinante e insopprimibile dell’agire umano. Se non provassimo emozioni, e se le emozioni non costituissero uno dei principali motori della nostra azione, dovremmo iniziare a preoccuparci seriamente – al netto di emozioni e sentimenti, la differenza tra essere umano e macchina si assottiglierebbe in maniera pericolosa.
Se le emozioni rappresentano una irrinunciabile bussola (ma da utilizzare con juicio) delle decisioni individuali, è consigliabile prestare attenzione al peso che esse possono avere nel dettare quelle collettive, ovvero le scelte politiche. Una politica mossa dall’onda delle emozioni è votata ad avere il respiro corto, come di breve durata sono le pulsioni emotive che la spingono; ad avere obiettivi poco chiari e difficilmente tangibili, come impalpabili sono le sensazioni che essa intende appagare; ad essere volubile, se non reversibile, come mutevole e a volte contraddittorio è l’oscillare delle emozioni collettive.
Un esempio dei più illuminanti degli effetti non sempre benefici che puo’ produrre una politica ispirata più dalle emozioni del momento che da una valutazione lucida e spassionata di potenzialità e interessi in gioco ci viene dalle frontiere orientali dell’Europa. La politica UE sull’Ucraina degli ultimi tempi – una storia di fallimenti più che di successi, per usare un understatement – è stata il frutto del susseguirsi di spinte emotive. Dall’attaccamento maniacale alle vicende processuali di Yulia Timoshenko, che aveva impedito ad osservatori e policy-makers europei di percepire il crescente disagio popolare nei confronti dell’Amministrazione Yanukovych; all’entusiasmo incondizionato per il movimento di piazza che condusse alla caduta del Presidente, che fece perdere di vista il crescente nervosismo di Mosca nei riguardi del nuovo regime; alle paure ataviche che la reazione – per molti versi inconsulta, ma non del tutto imprevedibile – della Russia aveva suscitato in Paesi dell’Unione che la storia e la geografia rendevano particolarmente esposti alla ricorrente aggressività delle politiche di Mosca; per finire con l’orrore e l’indignazione suscitati dall’abbattimento dell’aereo MH17 nei cieli dell’Ucraina orientale – a dispetto dei fiumi di retorica versati sulla compattezza europea nella politica sanzionatoria, conviene tenere a mente che il consenso per il varo delle misure più severe fu raggiunto solo a seguito di quel tragico incidente.
Su questa premessa, chi scrive non puo’ guardare con un certo disagio alla marea sempre più insistente di commozione sprigionata dalla tragedia del piccolo bambino curdo-siriano che ha trovato (assieme ad altri) la morte nel tentativo di raggiungere le coste europee per sfuggire al conflitto che dilaniava il suo Paese d’origine. E pensare che, per quanto benintenzionate, le spinte emotive alimentate da quelle immagini strazianti che ancora abbiamo negli occhi difficilmente possono condurre all’adozione di politiche mirate e coerenti.
Del resto, è da supporre che, al di là di quanto suggerisce la retorica di circostanza (e un uso raffinato quanto sapiente della propaganda), una valutazione più spassionata delle cose da fare stia già avvenendo in alcune parti d’Europa. A Berlino, per l’esattezza, sotto la guida di quel leggendario animale politico a sangue freddo che risponde al nome di Angela Merkel.
Sul perché, da una settimana a questa parte, la Cancelliera tedesca abbia deciso di aprire le porte della Germania (e, di riflesso, dell’Europa) alle migliaia di profughi provenienti dalla Siria proliferano le congetture. Personalmente, considerato il temperamento (ostentatamente algido) e lo stile decisionale (tra il metodico e il riflessivo: la decisione conclusiva giunge a compimento di un lungo percorso, durante cui i pro e i contro vengono soppesati con attenzione e a più riprese), pare poco probabile che la Cancelliera si sia lasciata prendere da slanci universalistici di stampo roncalliano. ‘Cari profughi, questa sera carezzate i vostri figli e dite loro: questa è la carezza della Cancelliera’ sembrerebbe un messaggio poco credibile, se non stonato.
Più plausibile, e in linea con la personalità e le preferenze del personaggio, è l’ipotesi che, com’è solita fare, la Merkel abbia preso in esame con scrupolo di scienziata costi e benefici possibili delle decisioni che aveva dinanzi a sé; e abbia optato per la scelta che massimizzasse i vantaggi (da non trascurare, quelli del first mover in una situazione di stallo) per sé ed il proprio Paese.
Attenzione: la Cancelliera non sarebbe certo da biasimare se la svolta impressa alle politiche tedesche in materia di accoglienza dei rifugiati fosse orientata innanzitutto al perseguimento dell’interesse nazionale tedesco. Al contrario: si tratterebbe, in fondo, del motivo per cui i cittadini tedeschi l’hanno eletta, e ripetutamente confermata, alla guida del loro governo. In più, se interesse nazionale e dovere di attenzione verso i più deboli e sofferenti coincidono, è motivo di ammirazione ulteriore. ‘One of the most unsordid acts in history’: viene alla mente il giudizio lapidario ma toccante (un piccolo capolavoro di understatement britannico) che Churchill diede della legge Affitti e Prestiti con cui gli USA sostennero gli alleati britannici in una fase delicata del conflitto pochi mesi prima di parteciparvi direttamente a loro volta.
Che interesse tedesco e interesse europeo coincidano – in altre parole: che quel che va bene alla Germania, questa volta in materia di rifugiati e di immigrazione, va bene all’Europa – invece, resta da dimostrare. Qualche dubbio, in proposito, sarebbe lecito coltivarlo: basti pensare all’ultima volta in cui la Cancelliera era stata salutata come ‘guida spirituale e politica dell’Europa’. Era il tempo in cui la Merkel proclamava, con toni apocalittici: ‘se crolla l’euro, crolla l’Europa’, quando il dramma della Grecia e la crisi dell’eurozona erano ai loro primi atti. Da allora, se l’Europa è ancora in piedi (barcollante), molte certezze sono, se non crollate del tutto, abbastanza compromesse. Molte, ma non le sofferenze delle banche tedesche (e francesi) verso il sistema finanziario greco: quelle, ormai, sono state messe in sicurezza.
Si dirà: si tratta di situazioni, e frangenti storici, differenti, difficili da mettere a raffronto. Possibile: utile tenerle a mente, però, una volta messi da parte i fazzoletti. Perché in politica, come si diceva, con gli occhi asciutti (e bene aperti) si ragiona meglio.