Bruxelles – Aggirare i dazi europei sulle auto per vendere in Turchia e, tramite l’accordo doganale Ue-Turchia che permette lo scambio di beni senza tariffe, piazzare i prodotti ‘made in China’ nel mercato unico. E’ a quello su cui, silenziosamente, starebbe già lavorando Pechino, per manovre che inquietano le istituzioni comunitarie. La guerra commerciale innescata con la decisione della Commissione europea di imporre dazi sulle auto elettriche cinesi, ora definitivi, per la Repubblica popolare sembra giocarsi su un doppio tavolo: quello giuridico (Organizzazione mondiale del commercio, Wto), e quello dell’aggiramento.
Nello specifico si ritiene che Chery, attraverso l’aumento di produzione in Turchia, riesca ad evitare i dazi già imposti dall’Unione europea per gli stessi prodotti venduti dalla Cina. Si tratta di sovraccosti tra il 17 per cento e il 21,3 per cento rispetto al prezzo di vendita sul mercato, che si aggiunge ad un dazio pre-esistente del 10 per cento. Si pone dunque la questione di un corretto uso di accordo di unione doganale Ue-Turchia.
A Bruxelles sembrano essere consapevoli di tutto questo, anche se le manovre silenziose della Cina non hanno prodotto ancora effetti tali da offrire né appigli né opportunità per reagire. “In questa fase è troppo presto per valutare se tali investimenti possano avere un impatto sulla competitività dell’industria automobilistica europea“, ammette Valdis Dombrovskis, nella risposta offerta nella veste di commissario uscente per il Commercio. Alla luce di una situazione poco chiara e definita, dunque, “sarebbe prematuro formulare ipotesi su possibili misure da adottare”.
Ciò non toglie che l’Ue non resterà a guardare. Spetterà alla nuova Commissione europea gestire le delicate relazioni con la Repubblica popolare cinese, e Dombrovskis farà parte di questa nuova legislatura europea. La linea non cambia: economia aperta, ma tutela degli interessi europei. Per questo, assicura ancora Dombrovskis, “la Commissione monitorerà attentamente la situazione e, se necessario, adotterà misure appropriate a far sì che l’industria continui a essere competitiva e che le norme e gli standard pertinenti siano rispettati”. Vuol dire sanzioni commerciali. Pechino è avvisata.
Il messaggio politico però è valido anche per la Turchia, Paese il cui status di adesione all’Ue è congelato ma non cancellato, e il governo di Ankara dovrebbe comunque garantire degli obblighi derivanti dalla sua posizione.