Bruxelles – A Ginevra si corre contro il tempo per non far naufragare definitivamente l’accordo sul nucleare iraniano prima che Donald Trump entri in carica il prossimo gennaio. I rappresentanti di Francia, Germania, Regno Unito ed Unione europea si sono incontrati nella città elvetica con gli inviati della Repubblica islamica per cercare di sbloccare i complessi negoziati sul programma nucleare civile di Teheran. Alla fine si è scelto di mantenere aperto il dialogo, ma non ci sono state grandi svolte.
Il clima, già all’avvio dei colloqui, non era dei più distesi. Il viceministro degli Esteri iraniano Kazem Gharibabadi si è lamentato dell’atteggiamento europeo, sostenendo che Bruxelles “dovrebbe abbandonare il suo comportamento egocentrico e irresponsabile” per quanto riguarda una serie di questioni internazionali, come appunto il programma nucleare del suo Paese ma anche la guerra in Ucraina.
Tutto si tiene negli incontri tra i diplomatici in Svizzera. Da tempo, l’Ue sta facendo pressione sull’Iran affinché smetta di sostenere lo sforzo bellico del Cremlino, rifornendo la Federazione con missili balistici e droni. Ma Teheran ha fatto finora orecchi da mercante, ricevendo in cambio nuove sanzioni da parte dei Ventisette.
Quanto al nucleare degli ayatollah, il Vecchio continente lamenta la mancanza di cooperazione con l’agenzia Onu dell’energia atomica (Aiea), ed alcuni Paesi europei temono che l’Iran sia intenzionato a costruire la bomba atomica – un timore giustificato, dicono, dalle crescenti scorte di uranio altamente arricchito che Teheran starebbe accumulando. I capi delle intelligence britannica e francese hanno dichiarato oggi (29 novembre) che il rischio di una proliferazione nucleare iraniana potrebbe rappresentare la “minaccia più critica” nei prossimi mesi, e che le ambizioni di Teheran “continuano a minacciare tutti noi”.
La sfiducia si era già percepita lo scorso 21 novembre, quando Berlino, Londra e Parigi hanno chiesto all’ispettorato dell’Aiea di stilare un rapporto completo sulle attività nucleari dell’Iran, che è un passo preliminare per l’imposizione di nuove sanzioni sul Paese mediorientale. L’agenzia Onu ha dichiarato che Teheran ha intenzione di installare 6mila nuove centrifughe per portare il programma di arricchimento dell’uranio al 5 per cento, mentre il limite fissato dagli accordi internazionali è del 3,67 per cento.
D’altro canto, la Repubblica islamica sostiene che gli europei abbiano ignorato alcuni segnali di apertura come la disponibilità di limitare l’arricchimento al 60 per cento e di consentire il ritorno degli ispettori dell’Aiea in Iran. Quanto alla guerra in Ucraina, la linea ufficiale è che nemmeno un missile balistico sia stato fornito alla Russia. Il ministro degli Esteri Seyed Abbas Araghchi ha dichiarato nei giorni scorsi che un eventuale ritorno al regime sanzionatorio dell’Onu potrebbe mettere in discussione l’opposizione (fissata tramite fatwa) di Teheran allo sviluppo di armi atomiche.
Alla fine, si è deciso di continuare il dialogo, ma non è stata raggiunta alcuna svolta negoziale cruciale. A Ginevra, i rappresentanti europei dovevano valutare la solidità dell’offerta iraniana, cercando nel contempo di convincere Teheran a ridurre il suo sostegno a Mosca nel conflitto ucraino, magari revocando alcune sanzioni economiche.
Ma i rapporti tra le parti continuano a non essere particolarmente distesi. In un incontro preliminare tra Gharibabadi e il capo negoziatore dell’Ue, Enrique Mora, non si è riuscito a trovare molto terreno comune. “L’Europa non dovrebbe proiettare i propri problemi ed errori sugli altri”, ha scritto l’inviato iraniano su X. Rispetto alla guerra in Ucraina, secondo Gharibabadi Bruxelles “non ha alcun terreno morale per predicare agli altri sui diritti umani” dato il “comportamento complice nei confronti del genocidio in corso a Gaza”, mentre sul nucleare “l’Europa non è riuscita ad essere un attore serio per mancanza di fiducia in se stessa e di responsabilità”, ha aggiunto.
Soprattutto, a pendere sui colloqui come una spada di Damocle c’era l’inaugurazione della seconda presidenza Trump dall’altra parte dell’Atlantico, in calendario per il prossimo 20 gennaio. Durante il suo primo mandato, il tycoon newyorkese aveva assunto una posizione da “falco” nei confronti del regime degli ayatollah, facendo uscire gli Stati Uniti dal Jcpoa (l’accordo risalente al 2015 e negoziato, oltre che da Washington e Teheran, dal gruppo cosiddetto E3 che comprende Francia, Germania e Regno Unito) e imponendo sull’Iran la “massima pressione” tramite la reintroduzione delle sanzioni economiche.