Ci sono tanti modi per condizionare le coscienze, per influenzare l’opinione pubblica, per stravolgere da un giorno all’altro i risultati di un sondaggio. Spot pubblicitari, esibizioni televisive, gesticolazioni in rete. Ma ce n’è uno ben più subdolo della cui potenza pochi sono consapevoli: la traduzione. La traduzione ha effetti profondi sulla lingua, condiziona nel lungo termine il pensiero ed è difficile poi sradicarlo, perché si avvolge inestricabilmente alle parole. Nell’opinione comune la traduzione è solo una noiosa e dispendiosa operazione di trasposizione di un testo da una lingua all’altra. Oggi ci sono macchine per questo e la loro efficacia è innegabile per testi che richiedono solo un’immediata comprensione. Ma per testi fondanti come ad esempio i trattati europei, la traduzione è un’operazione delicata. Anche le parole più semplici possono nascondere tranelli invisibili. Lo abbiamo visto a suo tempo con il trattato di Maastricht che fu tradotto in alcune lingue con apparente uniformità ma sostanziali divergenze. Al punto che si organizzavano seminari di interpretazione del trattato a seconda della lingua. Oggi esce nel Regno Unito un libro che non farà parlare molto di sé. The Catholic Truth Society New Sunday Missal non balzerà in cima alle classifiche dei best-seller, ma gli specialisti dicono che il nuovo messale inglese della chiesa cattolica è una bomba a orologeria.
Come tutti sanno il Concilio vaticano secondo aveva abolito la messa in latino e introdotto le lingue vernacolari nella Chiesa. Questo aveva richiesto una traduzione dal latino del canone dei testi sacri, in particolare il messale e il catechismo. Le traduzioni vennero affidate alle conferenze episcopali nazionali e per la chiesa cattolica inglese a una speciale conferenza anglofona che nel 1973 produsse una versione definitiva del messale. Il grande numero di cattolici a cui si rivolgeva e la grande diversità di tradizioni culturali del mondo anglofono resero inevitabili controversie sulla versione. Soprattutto dagli ambienti più tradizionalisti si criticava una deviazione anche di carattere dottrinario della traduzione, che tendeva a dare maggiore centralità all’uomo ponendo ai margini il ruolo della grazia divina. L’impostazione dei traduttori era stata quella di avvicinare la lingua della Chiesa alla società, di renderla meno oscura e più familiare ai credenti. Questo comportava un necessario allontanamento dal testo latino, già di per sé antiquato. Ma i redattori del messale accettarono le critiche e avviarono una revisione di compromesso del messale che si protrasse fino agli anni Novanta. Quando però nel 1996 il vescovo inglese responsabile della nuova traduzione Maurice Taylor andò a Roma per chiedere il nulla osta papale, ricevette invece un’ingiunzione che in gergo si chiama “Liturgiam Authenticam” e che Taylor definì “l’equivalente disciplinario di un missile Exocet”, come riporta il Times Literary Supplement.
Il nuovo Prefetto della Congregazione della fede, il cardinale cileno Jorge Medina Estévez non sapeva l’inglese e non aveva nessuna intenzione di impararlo. Ma sapeva cosa gli aveva detto il suo capo, il futuro Benedetto XVI, che con un manipolo di tradizionalisti aveva preso il controllo della Curia mentre Giovanni Paolo II si stava lentamente spegnendo. L’ordine era di ritornare alla traduzione letterale e di riportare le versioni in lingua vernacolare il più possibile vicino al testo latino. Secondo la restaurazione linguistica di Benedetto XVI, il traduttore non deve dare l’impressione al credente che il testo è stato scritto nella lingua corrente, ma deve lasciar trasparire il sapore dell’originale. Un originale che per inciso non è lingua di Dio ma lingua della Chiesa medievale. In altre parole, per il futuro Papa, la Chiesa doveva ritornare oscura e ricoprirsi di quel manto di mistero di cui si era spogliata con il Concilio vaticano secondo. Parole troppo chiare, troppo mondane, avevano spinto troppi cattolici a pensare con la loro testa, ad avere un’opinione sulla Chiesa, a esprimere critiche, a pretendere altro cambiamento ancora. In fondo, se si era arrivati a chiedere l’ordinazione delle donne o l’amministrazione dei sacramenti ai divorziati, la colpa era anche della nuova lingua troppo aperta che parlava la Chiesa. Chi si credevano di essere questi cattolici moderni che pretendevano di potersi rivolgere direttamente a Dio senza passare per la Chiesa? Ora bisognava ritornare al passato, incutere timore, prendere le distanze, ripristinare i ruoli del pastore e delle pecore.
La conferenza episcopale anglofona fu così esautorata e il cardinale Medina, senza sapere l’inglese, nominò i suoi traduttori fidati assicurandosi anche che in futuro tutte le traduzioni di testi sacri in inglese fossero controllate da una speciale commissione vaticana dal nome più che mai premonitore: Vox Clara. La nuova versione del Catholic Truth Society Sunday Missal che esce in questi giorni nel mondo anglofono è così scritta in una lingua tortuosa e barocca, sicuramente sacrale ma fortemente distante dalla modernità. I suoi effetti nel pensiero cattolico si vedranno solo fra qualche decennio. Non si sa bene se restaurerà il mistero ravvivando la fede dei cattolici anglofoni o se invece ne farà fuggire sempre di più verso l’ateismo e altre confessioni. Ma la Chiesa non ha paura del tempo. Contrariamente all’Unione europea, ragiona in millenni. Forse però farebbe comodo anche a noi una commissione Vox Clara che metta ordine nei nostri trattati. Ma per arrivarci bisognerebbe avere anche noi un dogma o due da difendere, un paio di cose su cui proprio non siamo disposti a transigere. Insomma, una Mens Clara…
Diego Marani