Bruxelles – Il protocollo Italia-Albania sulla migrazione continua a far discutere. Sotto i riflettori questa volta si trova la designazione come “Paesi sicuri” di Stati in cui ci sono violazioni evidenti dei diritti umani, in pieno contrasto con il diritto Ue.
Per chiarire la questione, è stata presentata alla Commissione europea un’interrogazione scritta dall’eurodeputato del Partito democratico (Pd) Alessandro Zan insieme all’eurodeputata indipendente del Pd Cecilia Strada, sostenuta anche da Alleanza Verdi e sinistra (Avs) e Movimento 5Stelle (M5S).
Non sembra abbassarsi il polverone sull’esperimento Albania dell’esecutivo Meloni. Tra i Paesi sicuri, verso cui effettuare i rimpatri, ci sono dei casi di “persecuzioni ampiamente confermati”, per cui è compito dell’esecutivo Ue comprendere se questo sia compatibile con la normativa europea.
Uno degli elementi delle leggi europee in merito alla definizione dei “Paesi sicuri” (delineati in vari documenti, tra cui la direttiva 2005/85/Ce, capostipite della definizione) richiede che la definizione tenga conto che il paese sia sicuro in toto, che ci sia rispetto dei diritti umani e che, in caso di rimpatrio, non ci siano rischi per i diritti della persona.
Per decidere, lo Stato deve valutare varie fonti, come le informazioni fornite da altri Stati membri, dall’Agenzia Onu sui rifugiati, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti. Oltretutto, la Corte di giustizia dell’Unione europea (Cgue) nella sentenza del 4 ottobre 2024 ha confermato che spetta agli Stati membri verificare costantemente se ci sono variazioni sostanziali nei Paesi che dovrebbero essere sicuri, per avere informazioni aggiornate.
Il problema è che il governo Meloni, secondo quanto riportano i deputati, non rispetta questi criteri europei. Non è la prima iniziativa comune sul protocollo tra Italia e Albania. Lo stesso Zan, in collaborazione con alcuni parlamentari degli stessi gruppi politici dell’interrogazione di oggi, aveva richiesto altri chiarimenti sul decreto italiano e la compatibilità con il diritto Ue, ancora senza risposte.
Nel testo dell’interrogazione si legge che nelle schede tecniche pubblicate dalla Farnesina è scritto chiaramente che “ci sono casi ampiamente confermati di atti di persecuzione e/o gravi danni in specifiche parti del territorio o contro categorie di persone chiaramente identificabili” in alcuni Paesi contemporaneamente identificati come adeguati per i rimpatri.
Per tanto, la normativa italiana potrebbe violare la sentenza della Cgue nominata prima, insieme alle disposizioni della Convenzione di Ginevra, della Carta Europea per i Diritti Umani e agli stessi criteri per la designazione. Le risposte dovrebbero arrivare dalla Commissione, sia per la compatibilità sia in merito alla riesamina dell’elenco.
Così viene messo in discussione uno dei pilastri che riguardano la strategia del governo italiano sulle politiche migratorie, nonostante l’occhiolino strizzato dalla stessa Presidente della Commissione europea von der Leyen e il grande sostegno ottenuto a livello di Consiglio europeo.
Sarebbe un (ulteriore) duro colpo per l’esecutivo italiano su questo decreto.
A ottobre e inizio novembre, dal Tribunale di Roma erano arrivate due sospensioni dei procedimenti di trasferimento verso gli hub esterni albanesi, rimandando le decisioni alla Cgue, che avevano sostanzialmente interrotto l’esperimento Albania. La questione, nuovamente, riguardava la presunta incompatibilità della legge italiana con quella Ue.
Il cuore della questione, sia nelle interrogazioni scritte sia nelle posizioni della giurisprudenza italiana, è che il governo Meloni sta percorrendo una strada sulla migrazione in evidente contrasto con le normative che l’Italia deve rispettare nel panorama internazionale, soprattutto sulla definizione dei “Paesi sicuri”. Per cui, ancora una volta, passa la palla all’Ue sulla questione.
In merito alla migrazione, le acque sono agitate a Bruxelles. Si continua a cercare una gestione alternativa della migrazione e il tema della sicurezza alle frontiere ha un suo peso specifico nel dibattito europeo, soprattutto perché il Partito popolare europeo (Ppe) sembra sempre più affascinato dalle idee dei gruppi politici di estrema destra.
Una bella patata bollente per il nuovo (se confermato) collegio di commissari e per l’austriaco Magnus Brenner, Commissario designato per gli Affari interni e migrazione. Chissà se l'”approccio globale” di Brenner nel rispetto del diritto Ue comprenderà il ‘lascia passare’ all’Italia per un protocollo che, ad oggi, non ha appigli per funzionare.