di Luigi Pandolfi
Guardando quello che sta accadendo in Europa, si può convenire che la crisi, nata dalle viscere del sistema finanziario, sta modificando in profondità anche il quadro politico di alcuni paesi. Lo testimonia la forza di movimenti e forze politiche, sia a destra che a sinistra, che mettono in discussione l’attuale governance comunitaria, ma anche le contraddizioni che attraversano i partiti cosiddetti “tradizionali”. A cominciare da quelli socialisti e socialdemocratici, nient’affatto monolitici al proprio interno, né tutti acriticamente allineati all’interno del Partito socialista europeo nella difesa del fortino a guida tedesca.
Può succedere, ad esempio, che in Inghilterra un vecchio parlamentare della sinistra laburista, in carica dal 1983, tenace oppositore della “terza via” di Tony Blair, decida di candidarsi alle primarie per la leadership del partito come “portabandiera” della sua corrente, salvo scoprire, poi, di poterle addirittura vincere. Parliamo di Jeremy Corbyn, storico esponente del Socialist Campaign Group, la minoranza “socialista” e di sinistra del Labour Party che faceva capo un tempo a Tony Benn, dato a sorpresa in vantaggio sugli altri aspiranti alla guida partito. Secondo il tabloid Daily Mirror, il gradimento per il parlamentare di Islington Nord sarebbe al 42%, contro il 22% di Yvette Cooper ed il 20% di Andy Burnham. Solo al quarto posto si piazzerebbe Liz Kendall, 43enne ex ministro-ombra della Sanità e fedelissima di Tony Blair. Personaggio molto distante dal profilo standard del politico inglese, Corbyn ha mantenuto negli anni uno stile di vita più vicino a quello delle classi lavoratrici che a quello dei suoi colleghi politici e parlamentari. Storiche le sue battaglie per la pace, ai tempi della guerra in Afghanistan e in Iraq, e contro l’apartheid in Sudafrica, che gli costarono anche un arresto nel 1984; notorie le sue posizioni filo-palestinesi. Ingredienti che, uniti al radicamento della sua visione politica nella cultura del laburismo sindacale e di sinistra (bennismo), ne fanno certamente una figura sui generis dentro un partito che per decenni ha fatto scuola per i suoi strappi con la tradizione socialista.
È la prima volta che il partito laburista sceglierà il suo leader con un sistema di primarie aperte e, c’è da scommettervi, saranno in molti in queste ore, tra i suoi dirigenti, a mangiarsi le mani. Non a caso, qualcuno ha già iniziato a parlare di «infiltrazione di elementi “socialisti” e “comunisti”». La regola prevede che possa votare chiunque, purché si sia registrato in tempo e abbia versato un obolo di tre sterline. Le schede dovranno essere spedite invece il 14 agosto e i risultati saranno annunciati il prossimo 12 settembre.
Ma cosa dice Jeremy Corbyn? Qual è il suo programma? I suoi detrattori dicono che si tratti di idee «sorprendentemente retro». Ma proprio per questo, forse, sarebbe opportuno interrogarsi sulle ragioni del loro inaspettato successo. Al primo posto nell’agenda di Corbyn c’è la lotta alle politiche neoliberiste e di austerità, che anche nel Regno Unito hanno significato in questi anni tagli draconiani al welfare, meno diritti e meno servizi per i cittadini, con risultati deludenti, peraltro, dal lato dei conti pubblici, e della stessa stabilità economica. «Non mi sorprende – ha detto il premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz nel corso di una conferenza a Londra – che vi sia una richiesta di un forte movimento contro l’austerità, che deriva dalla grande paura della disuguaglianza. Sfortunatamente, i partiti di centrosinistra, da questo punto di vista, si sono rammolliti». In effetti, è proprio nell’insicurezza che pervade da un capo all’altro l’Europa che va cercata la risposta alla domanda di cambiamento che, in un modo o nell’altro, è presente nella stragrande maggioranza dei paesi dell’Unione.
L’Europa, dunque. Su questo versante, la posizione di Corbyn è, per così dire, “articolata”. Accusato dai suoi avversari di essere anti-europeista, in linea con la tradizione della sinistra interna al Labour, al Guardian ha dichiarato recentemente che una battaglia per la fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione non è da escludere in linea teorica, ma tutto dipenderà da come il paese saprà negoziare con gli altri partner su questioni cruciali come gli squilibri commerciali, i diritti dei lavoratori, la tutela dell’ambiente, i paradisi fiscali. Poi, però, intervistato dall’Observer, ha puntualizzato che la sua preferenza sarebbe per «un’Inghilterra più giusta dentro un’Europa riformata», rispondendo così anche al portavoce per l’Europa del partito, Pat McFadden, che, provocatoriamente, gli aveva rivolto questa domanda: «Forse Corbyn ha intenzione di andare a braccetto con Nigel Farage in un viaggio nostalgico-nazionalista?».
Come in tutte le competizioni elettorali, non mancano ovviamente scambi di battute al vetriolo ed accuse reciproche tra le varie fazioni. Tony Blair, com’era prevedibile, ha stroncato la candidatura di Jeremy Corbyn, asserendo che «se il Labour vota con il cuore, è meglio che faccia un trapianto… Scegliere Corbyn significherebbe fare un favore ai Tories». La risposta di Corbyn è arrivata in queste ore, durissima: «Tony Blair dovrebbe essere chiamato a rispondere di crimini di guerra per il conflitto in Iraq. Penso che sia stata una guerra illegale e che Blair debba dare spiegazioni». Quel conflitto, secondo il candidato alle primarie, è stato «catastrofico», da lì è iniziata la deriva che ha portato all’attuale instabilità in Medio Oriente ed in Nord Africa, all’ecatombe di migranti nel Mediterraneo, al dramma dei rifugiati che l’Europa non è in grado di gestire.
Ce la farà Jeremy Corbyn a vincere le primarie? È presto per dirlo, ancorché sembri che il vento oggi sia a suo favore. Ancora più difficile è capire cosa potrebbe accadere fra quattro anni alle prossime elezioni politiche. Certo, la sconfitta di Ed Miliband ha dimostrato che i laburisti hanno esaurito la loro capacità di proporsi come alternativa, nonostante il malcontento popolare per le politiche di rigore portate avanti dai conservatori in questi anni. Che vinca o no Corbyn, quindi, il seme è stato comunque piantato: dopo le primarie il Labour party non potrà più essere quello di prima.
Pubblico su Linkiesta il 7 agosto 2015.