Bruxelles – Da giorni, la politica europea è in stallo perché i gruppi che compongono la maggioranza Ursula 2.0 si stanno scontrando frontalmente sulle vicepresidenze esecutive della prossima Commissione. La battaglia si sta combattendo tra i Popolari (Ppe) e i Socialisti (S&D) intorno al candidato commissario ungherese Olivér Várhelyi (stretto alleato di Viktor Orbán) e a due vicepresidenti esecutivi designati, il meloniano Raffaele Fitto e, soprattutto, la socialdemocratica spagnola Teresa Ribera, finita nel mirino delle destre sia a Madrid sia a Bruxelles.
Ribera nell’occhio del ciclone
L’epicentro della crisi che sta mettendo a repentaglio l’approvazione dell’intero Collegio si è spostato dall’Italia (data l’opposizione dei progressisti europei al titolo di vicepresidente esecutivo per Fitto) verso la Spagna, precisamente nella provincia di Valencia. Teresa Ribera, ministra alla Transizione ecologica e alla Sfida demografica nonché terza vicepremier dell’esecutivo di centro-sinistra guidato da Pedro Sánchez, è finita al centro degli attacchi incrociati del Partido popular (Pp), che fa parte del Ppe, e di Vox – la formazione neo-franchista che dall’Ecr è recentemente passata sotto le insegne dei Patrioti – per le sue presunte responsabilità nella tragedia delle alluvioni che hanno colpito la Comunidad autonoma lo scorso 29 ottobre, nelle quali hanno perso la vita oltre 200 persone.
Dopo essere stata al centro dell’audizione della vicepresidente designata lo scorso martedì (12 novembre), la questione delle responsabilità delle morti nella Comunidad valenciana è riemersa anche durante i dibattiti nella mini-plenaria dell’Europarlamento tenutasi ieri a Bruxelles, in cui i leader del Pp (Dolors Montserrat) e di Vox (Jorge Buxadé), tra gli altri, si sono scagliati con violenza contro i colleghi eurodeputati eletti con il Psoe, come la capogruppo S&D Iratxe García Pérez. Esteban González Pons, un altro membro spagnolo del Ppe, ha denunciato come “immorale” il fatto che “la ministra in carica sta per essere ricompensata (con la vicepresidenza della Commissione, ndr) mentre ci sono ancora dei cadaveri da recuperare da sotto il fango”.
Lo scontro tra il governo centrale e la Generalitat
Le forze politiche del regno iberico si stanno rimbalzando a vicenda le responsabilità per la catastrofe provocata dalla tempesta Dana. Ad attaccare pesantemente Ribera in quella che i media nazionali chiamano una “guerra totale” è soprattutto il Pp guidato da Alberto Núñez Feijóo, il principale partito di opposizione al governo socialista di Sánchez che è anche l’azionista di maggioranza dell’esecutivo regionale valenzano (la Generalitat), dove governa insieme a Vox. Secondo le destre, Ribera è venuta meno al suo ruolo di coordinatrice della risposta all’emergenza, e avrebbe fallito nel mettere in campo un’adeguata prevenzione per limitare i danni di disastri climatici di questa portata.
Ma da Madrid queste accuse vengono respinte al mittente, cioè al governatore Carlos Mazón (Pp), il quale in base alla struttura fortemente regionalista dello Stato spagnolo gode di un’ampia autonomia nella gestione della Comunidad e sarebbe dunque il vero responsabile della malagestione dell’emergenza. Il governo centrale ha assolto ai suoi compiti tempestivamente, sostengono Ribera e i suoi, diramando l’allerta meteo già nel primo mattino, mentre sarebbe stata proprio la Generalitat a non avvertire in tempo la popolazione del pericolo imminente e a non mettere in piedi misure tempestive che avrebbero permesso di scongiurare il peggio.
Il futuro di Ribera
Ora, il destino politico di Ribera sembra appeso ad un filo, o meglio all’audizione di fronte al Congreso de los diputados (la camera bassa del legislativo di Madrid) in calendario per il prossimo 20 novembre, che lei stessa ha richiesto. Lì si sottoporrà alle bordate delle opposizioni, che non intendono risparmiarle nulla. Soprattutto, in base a quanto emergerà in quella sede potrebbe essere avviato un procedimento giudiziario contro di lei. Si tratta di un passaggio molto stretto, e potenzialmente esplosivo non solo per il governo Sánchez ma anche per la transizione istituzionale in corso a Bruxelles, dove Ursula von der Leyen sta cercando di mettere in cassaforte il via libera alla sua nuova Commissione, attualmente in bilico proprio per il muro contro muro tra Popolari e Socialisti all’Eurocamera.
Partido popular e Ppe vogliono la testa della vicepremier e hanno chiesto, come condizione per porre fine allo scontro che sta terremotando la maggioranza europeista, che Ribera si dimetta nel caso in cui un tribunale nazionale la incrimini formalmente (nonché che i gruppi progressisti diano il via libera alle candidature di Fitto e Várhelyi). Questo intreccio mette il premier spagnolo in una situazione particolarmente delicata. Sánchez non può accettare le richieste del Pp di sostituire Ribera con un profilo alternativo (il Pp ha ventilato il nome dell’attuale ministro all’Agricoltura, Luis Planas, come rimpiazzo) per non dare l’impressione di capitolare di fronte all’opposizione, ammettendo implicitamente le responsabilità di Ribera nel disastro di Valencia.
I riflessi a Bruxelles
Viceversa, se quest’ultima dovesse essere incriminata le conseguenze sarebbero esplosive e difficilmente prevedibili, ma sarebbe inverosimile per lei rimanere a bordo dell’esecutivo comunitario. A questo punto, la partita in Ue per le vicepresidenze del futuro esecutivo comunitario rimane bloccata (a meno di imprevisti) fino almeno a mercoledì prossimo, in attesa di sapere cosa accadrà alla ministra di Madrid. Potenzialmente, se dovesse effettivamente attivarsi la giustizia spagnola, gli strascichi potrebbero prolungarsi ulteriormente.
Per ora, Sánchez sta tenendo il punto e non intende toccare la sua vice, forte anche del sostanziale appoggio che la stessa von der Leyen sta garantendo a Ribera. Il portavoce della Commissione Eric Mamer ha ribadito ieri che “la presidente ha dato fiducia a tutti i candidati alla carica di commissario e il processo per la loro conferma è in corso” e che il Berlaymont non si intromette nelle questioni domestiche dei Paesi membri. Ma non è affatto scontato che il nuovo Collegio entri in funzione il primo dicembre (come nei piani della popolare tedesca), poiché non è detto che il voto di fiducia da parte dell’Eurocamera possa arrivare il 27 novembre durante la prossima plenaria a Strasburgo, come auspicato dalla presidente dell’Aula Roberta Metsola.