Bruxelles – Si avvita sempre di più la crisi in cui è precipitata la maggioranza Ursula 2.0 dopo lo strappo consumatosi durante le audizioni parlamentari dei sei vicepresidenti esecutivi designati per il secondo Collegio von der Leyen. Nella capitale Ue si susseguono frenetiche le chiamate e le riunioni tra i leader dei partiti centristi che tecnicamente sostengono la coalizione europeista – la cosiddetta “piattaforma” composta da Popolari (Ppe), Socialisti (S&D) e liberali (Renew) – per cercare di ricomporre la spaccatura, che appare sempre più profonda, tra cristiano-democratici e progressisti. Che si incentra tutta su due profili: quelli di Raffaele Fitto e di Teresa Ribera. Ma per il momento non si vede nessuna luce in fondo al tunnel.
Sfumato l’accordo
Si è conclusa con un nulla di fatto la riunione convocata oggi (13 novembre) al Berlaymont, la sede dell’esecutivo comunitario, da Ursula von dr Leyen per tentare di salvare la sua stessa maggioranza che da ieri è in preda ad una crisi politica di rara intensità. Al cospetto della presidente della Commissione si sono recati i capigruppo Manfred Weber (Ppe), Iratxe García Pérez (S&D) e Valérie Hayer (Renew), ma secondo fonti parlamentari “non c’è stato un accordo” e dunque la paralisi sul nodo delle vicepresidenze rimane.
Dal gruppo socialista si fa sapere che “tutti i canali di comunicazione restano aperti”, ma la situazione rimane tesa e la stessa García Pérez non si è dichiarata “ottimista” sull’esito delle trattative. Del resto, la logica a pacchetto – per cui tutti e sei i vicepresidenti andrebbero approvati insieme – rende complessi i negoziati. I socialdemocratici hanno fatto quadrato intorno alla loro candidata, la spagnola Teresa Ribera, finita sotto il fuoco incrociato delle destre (dal Ppe ai sovranisti) che ne chiedono la testa per le sue presunte responsabilità nella tragedia consumatasi a Valencia. E contemporaneamente stanno insistendo affinché i Popolari, e soprattutto il loro capo-padrone Manfred Weber, rinuncino alla vicepresidenza esecutiva per il candidato della premier italiana Giorgia Meloni.
“La leadership del Ppe ha infranto l’accordo politico delle forze democratiche pro-europee al Parlamento europeo per il bene di un’agenda distruttiva del Partido Popular spagnolo che attacca la vicepresidente esecutiva designata Teresa Ribera”, si legge in una nota del gruppo socialdemocratico. “Il Partido Popular spagnolo sta cercando di fare di Teresa Ribera il capro espiatorio per il loro fallimento nel gestire le inondazioni più catastrofiche nella storia recente dell’Europa, che hanno causato più di 200 vittime, e ha effettivamente preso in ostaggio il Ppe, spingendo l’intera Unione europea sull’orlo del baratro nel modo più irresponsabile”, continua il comunicato, che mantiene alta la temperatura dello scontro frontale tra le due principali forze politiche dell’Aula.
Commissione a rischio?
La posta in gioco è alta: la fiducia sull’intero Collegio, che dovrebbe essere votata dalla plenaria dell’Eurocamera nella plenaria di novembre o, eventualmente, di dicembre. Il tempismo in questa fase è cruciale, e non gioca a favore dei Socialisti. Il prossimo 20 novembre, Ribera sarà ascoltata dal Parlamento di Madrid, davanti al quale dovrà difendersi dalle accuse dei conservatori. Se la situazione a Bruxelles non si sbloccherà prima di allora, potrebbe diventare più difficile per i socialdemocratici difendere la propria candidata, il che avrebbe a sua volta ricadute sull’inaugurazione dell’esecutivo comunitario.
È da tempo che i Socialisti hanno lanciato il loro altolà su Fitto, sostenendo che affidare un incarico apicale ad un esponente dei Conservatori comporterebbe un’inaccettabile ridefinizione della maggioranza parlamentare che sostiene von der Leyen (gli eurodeputati di Ecr non votarono la rielezione di quest’ultima lo scorso luglio). La linea del gruppo S&D è netta: prima si mettano in cassaforte i cinque vicepresidenti popolari, liberali e socialisti (Henna Virkkunen, Kaja Kallas, Stéphane Séjourné, Roxana Mînzatu e appunto Ribera), poi si parlerà del candidato meloniano. E nella spirale del litigio, tutto interno alla maggioranza, è finito anche il commissario designato ungherese, Olivér Várhelyi, a cui i progressisti vorrebbero sforbiciare le deleghe soprattutto in materia di diritti riproduttivi.
In mattinata, la capogruppo liberale Valérie Hayer aveva chiesto ai suoi partner di coalizione di “tornare al tavolo” delle trattative ed “evitare un collasso politico” ponendo fine al loro “comportamento irresponsabile” con il quale hanno “preso in ostaggio” l’intero processo di approvazione della Commissione, di cui le audizioni parlamentari costituiscono un passaggio chiave. Ma il muro contro muro tra Ppe e S&D continua, con i secondi che hanno alzato le barricate contro quello che vedono come un affronto da parte dei primi. In casa cristiano-democratica, tuttavia, la vicepresidenza di Fitto sembrerebbe blindata. Almeno a sentire il capo-delegazione di Forza Italia, Fulvio Martusciello, il quale citando un colloquio avuto con Weber ha assicurato che il ministro agli Affari europei “è sotto l’ombrello dei Popolari” e del vicepremier forzista Antonio Tajani.
La novità, a questo punto della storia, è l’entrata in scena in prima persona della presidente von der Leyen, che era rimasta dietro le quinte nella gestione della transizione istituzionale tra il Collegio uscente e il nuovo esecutivo comunitario. Da ieri sta invece assumendo un ruolo di primo piano, da vero e proprio pontiere, per fare in modo che la sua maggioranza non si frantumi in mille pezzi. Nel pomeriggio di martedì ha incontrato i leader di Socialisti e liberali, che hanno ora gettato la palla nel suo campo, affidandole l’ingrato compito di rimettere in riga (magari pubblicamente) Weber.
Le reazioni degli altri attori politici
Ma le acque sono agitate anche al di fuori del perimetro ufficiale della maggioranza, con i Verdi in fibrillazione. “Parti rilevanti del Ppe sono diventate totalmente inaffidabili e divisive”, ha attaccato la co-capogruppo Terry Reintke in una nota, aggiungendo che anche per gli ambientalisti “il portafoglio del commissario Várhelyi deve essere riorganizzato e la vicepresidenza esecutiva deve essere ritirata da Fitto”. “La maggioranza democratica pro-europea è stata messa in pericolo dalla sconsiderata insistenza del Ppe nel sostenere un candidato di estrema destra che non è adatto a diventare vicepresidente esecutivo”, ha rincarato la dose il suo omologo Bas Eickhout.
Dall’opposizione si è invece fatto sentire il capodelegazione leghista Paolo Borchia, che ha denunciato “un abuso del regolamento” dell’Aula da parte delle forze di maggioranza responsabili di un “pasticcio” politico che sta producendo “un grave vulnus per i processi democratici del Parlamento”, come si legge in una nota con la quale l’eurodeputato comunica di aver indirizzato una missiva di protesta alla presidente dell’emiciclo Roberta Metsola. Secondo il capopattuglia di FdI a Strasburgo Carlo Fidanza, che ricalca i recenti interventi della premier italiana, “la posizione del Pd sulla vicepresidenza di Fitto è vergognosa e dovrebbe suscitare lo sdegno di chiunque”. “Chi rema contro la vicepresidenza italiana rema contro l’Italia e, pur di colpire Giorgia Meloni, è disposto a ridimensionare il peso della nostra nazione”, ha aggiunto.