Bruxelles – Alla fine non è bastato il tentativo di equilibrismo del cancelliere tedesco Olaf Scholz per tenere insieme la sua maggioranza di governo. La “coalizione semaforo” che, in un inedito nella storia della Repubblica federale, riuniva sotto lo stesso tetto i suoi socialdemocratici (Spd), i Verdi e i liberali dell’Fdp è andata definitivamente in frantumi, tanto inconciliabili erano le distanze tra i suoi partner improbabili. Così, licenziato il ministro delle Finanze che aveva fatto partire la crisi di governo, Scholz ha annunciato che già il prossimo gennaio il Bundestag dovrà esprimersi sulla fiducia al suo esecutivo, diventato ora di minoranza: se verrà ritirata, i tedeschi potrebbero tornare a votare in primavera.
Scholz licenzia Lindner
Lo strappo si è consumato mercoledì sera (6 novembre), dopo un’ultima riunione di emergenza tra i leader della maggioranza – la cosiddetta coalizione semaforo, dai colori tradizionalmente associati ai suoi membri: il rosso dei socialdemocratici, il giallo dei liberali e il verde degli ecologisti – che non è bastata a evitare l’inevitabile. Scholz ha incontrato i suoi due vice, il ministro liberale delle Finanze (nonché leader dell’Fdp) Christian Lindner e quello dell’Economia Robert Habeck (che sta scalando il partito dei Verdi), ma ha dovuto prendere atto delle distanze siderali tra le rispettive posizioni.
Non c’è stata dunque altra scelta per il cancelliere se non licenziare Lindner, provocando il collasso della coalizione. La terza gamba del governo di Berlino ritirerà ora i suoi quattro ministri dal gabinetto (meno il titolare dei Trasporti, Volker Wissing, che ha annunciato di voler rimanere all’interno dell’esecutivo e ha pertanto abbandonato il suo partito), lasciando Scholz alla guida di un esecutivo di minoranza composto dall’Spd e dai Verdi. A sostituire Lindner ci sarà Jörg Kukies, considerato uno degli uomini più vicini al cancelliere: un ex di Goldman Sachs che è già stato segretario di Stato per le politiche finanziarie ed europee nell’ultimo esecutivo di Angela Merkel, una “grande coalizione” tra la Cdu/Csu di centro-destra e l’Spd.
“Sono stato costretto a compiere questo passo per evitare un danno al nostro Paese”, ha dichiarato Scholz di fronte ai giornalisti, attaccando con un insolito fervore “le meschine tattiche politiche” del suo ex ministro che, a suo dire, avrebbe dimostrato un livello di egoismo “completamente incomprensibile”. Lindner “non ha mostrato alcuna volontà di realizzare nessuna delle nostre proposte”, ha continuato il cancelliere, riferendosi ai tentativi di mediazione da lui stesso portati avanti insieme ad Habeck. Il quale ha appoggiato l’espulsione del leader dell’Fdp: “La decisione del cancelliere è stata logica”, ha detto stamattina (7 novembre) il vicecancelliere ecologista, definendo la scelta di Scholz “coerente e necessaria”.
Una crisi annunciata
Ma questa resa dei conti non è certo arrivata come un fulmine a ciel sereno. Fin dalla faticosa formazione dell’esecutivo di coalizione nell’autunno 2021, i partner di maggioranza si sono trovati a litigare sempre più spesso, soprattutto sulle questioni economiche e finanziarie. Verdi e socialdemocratici, entrambi di centro-sinistra, propugnano un ruolo centrale dello Stato nell’economia, da svolgere attraverso grandi piani di investimento (anche a debito) e un certo livello di prelievo fiscale per finanziare, tra le altre cose, generosi programmi sociali e ambiziose politiche climatiche. L’Fdp è invece rigorista sulla gestione delle finanze pubbliche: difende a spada tratta il “tetto al debito” presente nella Costituzione tedesca e vorrebbe ridurre le tasse (soprattutto per le imprese), mantenendo al minimo l’intervento dello Stato nell’economia.
La situazione è andata peggiorando con l’avvio dell’invasione russa dell’Ucraina, con la storica sentenza del novembre 2023 della Corte costituzionale che ha creato un buco da 60 miliardi di euro nel budget federale, con l’aggravarsi della crisi energetica ed economica del Paese e, infine, con le elezioni nei Länder orientali di Sassonia, Turingia e Brandeburgo, che hanno visto una sonora sconfitta di tutte e tre le forze di governo. Questi sviluppi hanno portato i rapporti a incrinarsi sempre di più, fino al punto di rottura.
Che è arrivato quando i due vicecancellieri hanno proposto dei piani diametralmente opposti per risollevare l’economia tedesca, in profonda crisi da due anni. A far saltare il banco sarebbe stata l’impasse sui negoziati per il bilancio del 2025, intorno al quale l’Fdp e l’asse Spd-Verdi si sono trovati per l’ennesima volta su barricate opposte. Lindner si sarebbe rifiutato di soddisfare la richiesta di Scholz di dichiarare uno stato di emergenza finanziaria che avrebbe permesso di aggirare le regole sul tetto al debito, in modo tale da inviare nuovi aiuti all’Ucraina e di aumentare il budget per la difesa, due priorità rese più impellenti dalla rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Per non emettere nuovo debito, i liberali avrebbero voluto prendere i soldi per le spese militari dai programmi sociali, una linea rossa invalicabile per gli altri due partner di governo.
Elezioni anticipate
Storicamente, gli esecutivi di minoranza in Germania hanno vita breve. Difficilmente andrà diversamente stavolta, dati i numeri al Bundestag: i gruppi parlamentari di Spd e Verdi non saranno in grado di sostenere da soli l’azione di governo, e dovranno rivolgersi alle altre forze politiche per far passare di volta in volta le proprie proposte legislative. Ma nessuna di queste sembra intenzionata a tendere la mano al moribondo gabinetto Scholz. Il che significa, tra le altre cose, che la principale economia europea rischia di entrare in esercizio finanziario provvisorio dal prossimo gennaio, se nessun partito appoggerà la proposta di bilancio per il 2025 targata Scholz-Habeck.
Il cancelliere ha annunciato che intende presentarsi in Aula per un voto di fiducia a metà gennaio: se lo perderà (come appare scontato), il presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier potrà sciogliere il Parlamento entro una ventina di giorni dalla sfiducia e convocare nuove elezioni nell’arco di 60 giorni, dunque al più tardi nella prima settimana di aprile (la scadenza naturale della legislatura sarebbe invece a settembre). Ma difficilmente Berlino avrà un governo pienamente funzionante prima dell’estate, se non addirittura in autunno. Nella storia della Bundesrepublik, ci sono state solamente tre elezioni anticipate: nel 1972, nel 1983 e nel 2005.
Le opposizioni – dalla sinistra radicale di Die Linke al nuovo partito rossobruno capitanato da Sahra Wagenknecht, dai cristiano-democratici della Cdu/Csu all’ultradestra dell’AfD – hanno accolto con favore la fine del governo Scholz, e stanno già spingendo per andare alle urne anche prima della prossima primavera. Proiezioni alla mano, il prossimo esecutivo tedesco sarà guidato dai conservatori della Cdu/Csu, il partito più potente all’interno dei Popolari europei (e da cui proviene anche Ursula von der Leyen), che nelle mani del leader Friedrich Merz si sta spostando sempre più a destra. Sarà a quel punto da vedere se l’Union governerà da sola o se cercherà il supporto (magari esterno) dei neo-nazisti dell’AfD, che sono in crescita da anni (e hanno fatto il botto alle scorse europee) ma nei confronti dei quali vige ancora in Germania un solido cordone sanitario. Almeno fino ad oggi.