Bruxelles – Venerdì 8 novembre i capi di stato e di governo dell’Ue saranno ospiti di Viktor Orbán a Budapest, in un vertice informale che guarderà inevitabilmente alle elezioni in corso negli Stati Uniti, dal cui esito dipende in buona misura il posizionamento dei 27 su diversi dossier. Dalla guerra in Ucraina alla sfida della competitività, conoscere il nuovo inquilino della Casa Bianca farà la differenza. Ma se sul supporto a Kiev solo una passo indietro di Washington può far vacillare l’unità dell’Ue, sul come dare seguito alle raccomandazioni formulate da Mario Draghi i 27 rischiano di arenarsi da soli.
Al vertice della Puskas Arena, già giovedì sera i leader si incontreranno per discutere delle relazioni transatlantiche alla luce dell’election day. Un alto funzionario Ue ha spiegato che, al di là dei possibili scenari, l’intento è “veicolare un messaggio importante incentrato sull’Europa”. Se dalle urne americane uscirà un vincitore, che sia Harris o Trump, i 27 inoltreranno le congratulazioni di rito, per poi riaffermare la “grande importanza” del rapporto Ue-Usa. E se a Washington qualcuno dovesse contestare i risultati elettorali, l’Ue si limiterà a esprimere “piena fiducia” nel processo democratico a stelle e strisce.
Il giorno dopo, a Budapest arriveranno anche Mario Draghi, la presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde e il presidente dell’Eurogruppo Pascal Donohoe. Tutti insieme, esamineranno le proposte avanzate dall’ex premier italiano nel suo rapporto sul futuro della competitività europea redatto per conto di Bruxelles. “La questione dei finanziamenti sarà cruciale“, ha ammesso un alto funzionario Ue. Draghi ha parlato di 800 miliardi di investimenti all’anno, una cifra monstre: se sull’allarmismo dell’economista italiano sono tutti d’accordo, su quali strumenti utilizzare per ridare vigore all’industria europea “è necessaria una discussione”.
Una discussione non facile, che rischia di terminare con il rapporto Draghi infilato in un cassetto per il quieto vivere. Ci stanno sbattendo i denti gli ambasciatori dei Paesi membri, che hanno già avuto tre scambi sulla bozza di dichiarazione finale del vertice sul “Nuovo corso per la competitività europea”. E ne avranno una quarta tra questa sera e mercoledì 6 novembre. A quanto si apprende, i 27 si stanno orientando per un taglio “più politico, più sintetico, meno divisivo ma più prospettico”: nessun lungo e dettagliato capitolo tematico, ma un “appoggio di principio” ai due rapporti Letta e Draghi e il richiamo alla “necessità di un’azione urgente dell’Ue per rafforzare la propria competitività”.
Il problema è che Ursula von der Leyen per prima si rifiuta di aprire all’eventualità che sia necessario un nuovo strumento di debito comune. E con lei diversi Stati membri. Al vertice di Budapest, al massimo i 27 manterranno l’indicazione generica di impegnarsi ad “esplorare nuovi strumenti” per raggiungere l’asticella posta da Draghi. Nell’ultima bozza visionata da Eunews, si cita il Quadro Finanziario Pluriennale dell’Ue “come mezzo essenziale per realizzare le nostre strategie”, l’Unione dei Mercati dei Capitali “per mobilitare i finanziamenti privati”, il “maggiore coinvolgimento della Banca Europea per gli Investimenti”. E l’impegno per “l’introduzione di nuove risorse proprie”.
Nessun accenno ad un fondo sovrano Ue, definito da un alto funzionario Ue “un termine un po’ spaventapasseri”, un’idea che non è condivisa da tutti” ma su cui “dovremmo continuare a lavorare”. La stessa fonte ha dichiarato che “se la Commissione non ha il coraggio di farlo in questo momento, la situazione si complicherà“. Nel senso che tutte le indicazioni che i leader Ue rilanceranno al vertice rimarranno privi di fondamenta: “garantire il rinnovamento industriale e la decarbonizzazione”, “aumentare la preparazione e le capacità di diesa”, “porre l’Europa all’avanguardia della ricerca e dell’innovazione a livello globale”. Alcune delle frasi che non rischiano di andare granché lontano se a Budapest i leader Ue decideranno ancora di volare basso.