Bruxelles – Un ritardo che rappresenta una minaccia per la salute umana e l’ambiente e un caso di cattiva amministrazione. È quello denunciato dalla Mediatrice europea nella conclusione preliminare della sua indagine, avviata l’8 maggio 2023, sulle modalità con cui l’esecutivo Ue decide in merito alle domande presentate dalle aziende per l’autorizzazione di usi specifici di sostanze chimiche particolarmente pericolose. “La Mediatrice ha ritenuto che la persistente inosservanza da parte della Commissione europea delle scadenze legali per la preparazione delle decisioni di autorizzazione relative a sostanze chimiche pericolose costituisca un caso di cattiva amministrazione. In media, la Commissione impiega 14,5 mesi per preparare bozze di decisione, sebbene la scadenza per farlo sia di tre mesi. In alcuni casi, occorrono diversi anni”, scrive l’Ufficio della Mediatrice europea Emily O’Reilly.
“Questi ritardi rappresentano una minaccia per la salute umana e l’ambiente, poiché le aziende sono in grado di continuare a utilizzare le sostanze chimiche, che possono essere cancerogene, mutagene, tossiche per la riproduzione o avere proprietà di interferenza endocrina, durante il processo di autorizzazione”, aggiunge l’Ombudsman europeo. Il documento, però, non si ferma alla denuncia e propone delle raccomandazioni. In base al regolamento Ue sulla registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche (Reach), le aziende che desiderano utilizzare sostanze chimiche considerate ‘estremamente preoccupanti’ e incluse nell’elenco delle sostanze soggette ad autorizzazione preventiva devono richiedere l’autorizzazione alla Commissione. L’esecutivo Ue presenta, poi, una bozza di decisione al comitato Reach, composto da rappresentanti degli Stati membri, che vota sull’autorizzazione.
“Sottolineando che lo scopo di Reach è quello di eliminare gradualmente o controllare con urgenza l’uso di sostanze chimiche particolarmente pericolose, la Mediatrice ha chiesto alla Commissione di rivedere le sue procedure interne per la preparazione delle decisioni di autorizzazione”, precisa l’Ufficio.
Inoltre, dato che a causare questi ritardi potrebbe essere la mancanza di sufficienti informazioni nelle richieste presentate, la Mediatrice ha invitato la Commissione “a garantire che le aziende presentino domande contenenti tutte le informazioni necessarie e a dare priorità al rigetto delle domande che non le contengono. Le aziende le cui domande vengono respinte non saranno più in grado di utilizzare le sostanze pericolose nell’Ue”, sottolinea la nota. Inoltre, la Mediatrice ha riscontrato una “cattiva amministrazione” nel fatto che la Commissione europea abbia fallito nel garantire sufficiente trasparenza al processo decisionale per l’autorizzazione. In particolare, ha criticato la mancanza di informazioni pubblicate in merito alle deliberazioni del comitato Reach, “con resoconti sommari delle sue riunioni che non catturano completamente lo stato di avanzamento dei singoli fascicoli o le ragioni dei ritardi, come i disaccordi tra gli Stati membri”. Per questa ragione, ha chiesto alla Commissione di pubblicare “tempestivamente riassunti più esaustivi delle riunioni del comitato, sottolineando che ciò aiuterebbe il pubblico a verificare la causa dei ritardi eccessivi e a responsabilizzare i decisori”.
Immediato è arrivato il commento allarmato di alcune Ong, come ClientEarth e European Environmental Bureau (EEB), che hanno denunciato come il caso dimostri che “gli interessi commerciali hanno la meglio su salute e ambiente”. Secondo l’esperta legale di ClientEarth, Hélène Duguy, “l’indagine dell’Ombudsman dimostra quanto la Commissione europea sia stata sconsiderata con le norme sulle sostanze chimiche”. Inoltre, “questo comportamento inaccettabile mina lo stato di diritto e la fiducia delle persone nelle istituzioni dell’Ue” ed “è giunto il momento che i funzionari dell’Ue prestino attenzione alle raccomandazioni della Mediatrice e diano priorità all’interesse pubblico rispetto ai profitti delle aziende tossiche”. Mentre Tatiana Santos, responsabile della politica chimica di EEB ha sottolineato che “ogni giorno di ritardo della Commissione permette alle sostanze chimiche pericolose di entrare nei prodotti e di avvelenare il pubblico” e “l’Europa dovrebbe dimostrare un maggiore senso di urgenza e andare incontro alle aziende che innovano una chimica più sicura e verde”.
Intanto, Palazzo Berlaymont ha spiegato che studierà “molto attentamente” il documento e risponderà entro tre mesi: “Abbiamo una scadenza di 3 mesi per preparare un parere dettagliato in risposta alle raccomandazioni”, ha dichiarato la portavoce della Commissione europea, Johanna Bernsel. “Siamo disposti a esaminare come le nostre procedure interne possano essere migliorate in modo che il processo decisionale diventi più efficiente”, ha evidenziato ancora. Di fatto, un’altra attesa.