Bruxelles – Per la Corte di giustizia dell’Ue non sussiste per gli Stati membri la possibilità di vietare la coltivazione della canapa in sistemi idroponici in ambienti chiusi. Unico limite è il rispetto della salute pubblica, cioè il rispetto del limite legale di Thc non superiore a 0.2 per cento.
La Cgue ha preso una posizione chiara sulle coltivazioni indoor. La sentenza deriva da un rinvio pregiudiziale della Corte rumena d’appello di Alba Iulia, per quanto riguardava il rifiuto di autorizzazione alla coltivazione della canapa ricevuto dall’azienda agricola Biohemp Concept. La Biohemp non aveva avuto l’autorizzazione alla coltivazione in una parte del proprio terreno, dove era presente una costruzione “a scopo agro-zootecnico”. Il tribunale rumeno sosteneva che l’autorizzazione alla “coltivazione di piante contenenti sostanze stupefacenti e psicotrope destinate ad uso industriale e alimentare, nel campo medico, scientifico o tecnico” si dovesse limitare ai terreni agricoli stricto sensu.
La questione è stata rinviata dalla Corte di appello alla Cgue per chiarire se la normativa europea fosse compatibile con l’autorizzazione alla coltivazione anche per i sistemi idroponici in ambienti chiusi o ci fossero ulteriori limitazioni.
E la Corte ha chiaramente detto che, purché non ecceda il limite previsto per la tutela della salute pubblica, la coltivazione in ambienti interni (autorizzati) è possibile, considerando che la canapa rientra tra i prodotti ricompresi nella Pac. Per altro, la canapa rientra tra i prodotti che, da regolamento europeo, compongono l’Ocm, un’organizzazione comune di mercato, per la quale si stabiliscono dei criteri comuni per poter importare nell’Unione canapa e semi di canapa (ad usi diversi dalla semina) in relazione al tenore di Thc. In sostanza, la canapa e derivati (esclusi i tessuti) sono regolamentati precisamente a livello di commercio, e la tecnica idroponica è anche vantaggiosa per la Pac.
Anche secondo le conclusioni della Corte, l’idroponica incrementa la produttività dell’agricoltura, sviluppa il progresso tecnico e garantisce un impiego migliore dei fattori di produzione. In aggiunta, si garantisce la sicurezza degli approvvigionamenti, non essendo sottoposta ad agenti atmosferici diretti, e prezzi ragionevoli al consumatore. Non permettere ai coltivatori di canapa di beneficiare della Pac con questa tecnica innovativa, causerebbe dei danni economici importanti (tenendo conto che i criteri per ricevere finanziamenti sono rigidi e ben definiti a livello europeo, per evitare coltivazioni illecite).
L’unica limitazione possibile e prevista dalla sentenza è quella dell’evidenza empirica di rischi alla salute pubblica, che prevalgono rispetto agli obiettivi europei relativi alla Pac. Si deve valutare “se le analisi scientifiche […] dimostrino che sussistono incertezze quanto all’esistenza di un maggior rischio di superamento del limite del tenore di Thc (rispetto al consentito, n.d.r.)” per quanto riguarda questo tipo di coltivazione. In caso contrario, il legislatore europeo non prevede divieti, con un bilanciamento tra obiettivi della Pac e dei suoi prodotti e la tutela della salute pubblica dei cittadini.
“Questa sentenza rafforza la necessità di basare le politiche nazionali su dati scientifici e sul rispetto delle normative europee”, afferma Mattia Cusani, Presidente dell’Associazione Nazionale Canapa Sativa Italia. “Invitiamo il governo italiano a riconsiderare le misure proposte nell’Articolo 18, per evitare di danneggiare un settore strategico per l’economia nazionale”. In Italia, dopo lo stop alla cannabis light per il Ddl sicurezza del governo Meloni, si sono alzate tante voci per proteggere una filiera agricola, che offre lavoro a circa 15 mila persone e genera un fatturato annuo di 500 milioni di euro. Il governo dal canto suo ha difeso l’emendamento “cannabis” asserendo che la limitazione serva per evitare commercio illegale di “inflorescenze e suoi derivati, acquistati per un uso ricreativo”.
Il divieto italiano di vendita di infiorescenze è ora in contrasto con un’Ue più progressista, e le associazioni di filiera invitano il governo italiano a riconsiderare l’articolo 18, favorendo una regolamentazione basata su evidenze scientifiche e lo sviluppo sostenibile del settore. D’ora in poi, non sarà possibile limitare il commercio e la coltivazione di canapa sativa L in modo arbitrario, ma solo se effettivamente sussistono rischi alla salute pubblica.