Bruxelles – Tira dritto per la strada illustrata ieri (24 settembre), il ministro dell’Impresa e del Made in Italy Adolfo Urso, per quanto riguarda il regolamento Ue sulle emissioni di CO2 degli autoveicoli. Soprattutto su due punti: la revisione delle norme va anticipata dalla fine del 2026 all’inizio dell’anno prossimo e vanno inclusi tra i carburanti per il post-2035 i biofuels. E, almeno sul primo, Roma avrebbe l’appoggio di Berlino. Sul posticipo della scadenza del 2035 per lo stop definitivo ai motori a combustione interna, invece, sembra sparita l’opposizione da parte del governo italiano.
Parlando ai giornalisti al Parlamento europeo di Bruxelles nel pomeriggio di mercoledì (25 settembre), dove si è recato dopo aver partecipato ad un evento sul futuro dell’automotive organizzato dalla presidenza ungherese del Consiglio Ue, il titolare del Mimit ha ribadito che, in base al “principio di realtà”, gli obiettivi del Green deal relativi alla mobilità elettrica vanno ricalibrati. Perché, alle circostanze attuali, sono impossibili da raggiungere.
Il governo italiano chiederà dunque alla Commissione, “anche attraverso un non-paper (cioè un documento informale, ndr) che intendiamo presentare insieme ad alcuni Paesi europei con cui mi sto confrontando, che sia anticipata la data di esercizio della clausola di revisione, già prevista per la fine del 2026, alla prima parte del 2025”, ha dichiarato il ministro, “nell’assoluta certezza che non possiamo lasciare per altri due anni le imprese e i consumatori nell’incertezza su cosa fare”.
Quanto alla deadline per il divieto di produzione di veicoli con motori a diesel e benzina, fissata per la metà del prossimo decennio, Urso ha elencato “tre condizioni” alle quali la scadenza al 2035 può ragionevolmente essere mantenuta. In primo luogo “risorse significative per consentire investimenti che accelerino sulla fase della transizione e che consentano ai consumatori europei di acquistare macchine elettriche perché oggi non lo stanno facendo più”. Secondo, “una visione chiara di neutralità tecnologica”, il che “significa anche biocombustibile o idrogeno e non solo”. Infine serve coniugare questa transizione energetica “con il principio dell’autonomia strategica, cioè della sicurezza europea”, la quale a sua volta viene definita dalle “nuove condizioni geopolitiche di cui dobbiamo prendere atto”, perché “l’Europa è circondata da guerre”.
“Se non ci saranno queste tre condizioni, e non possiamo quindi garantire il target del 2035, allora dobbiamo passare a una soluzione subordinata”, ha ammonito, “che è quella del rinvio del target del 2035 a quando tutto ciò sarà possibile e sostenibile”. Si tratta insomma di allineare “politica ambientale, politica industriale e politica della sicurezza”, che finora sarebbero state separate riducendo il Green deal a un’operazione di ambientalismo ideologico.
Urso ha parlato con gli omologhi di Austria, Cechia e Spagna, i quali gli avrebbero segnalato “apertura” sulle proposte italiane. Una sponda più solida, invece, è arrivata dal ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck, che “ha aperto sia alla possibilità di risorse comuni, sia alla possibilità di una visione maggiormente chiara di neutralità tecnologica”. Secondo il capo del Mimit, il vicecancelliere ha anche condiviso la necessità di anticipare la revisione ai primi mesi del 2025. I due avrebbero poi concordato sulla necessità, evidenziata da Mario Draghi nel suo rapporto sul futuro della competitività nell’Unione, di sostenere l’industria europea di fronte alla concorrenza globale (soprattutto di Cina e Stati Uniti) tramite investimenti sia pubblici che privati.
La solidità reale del fronte di Paesi coalizzati intorno all’asse Roma-Berlino si vedrà, tanto per cominciare, al Consiglio Competitività in programma domani (26 settembre), dove i ministri dei Ventisette discuteranno tra le altre cose della relazione dell’ex premier italiano e, appunto, del futuro del mercato unico, incluso nel settore dell’auto. Ma la Commissione sarà d’accordo nel rimettere mano alle scadenze già concordate? Fino a ieri, i portavoce dicevano espressamente il contrario: la deadline del 2026 è “appropriata”, cioè non si cambia. Ma Urso si è dichiarato fiducioso della possibilità di dialogare con il “governo di centro-destra europeo”, sottolineando la composizione del secondo Collegio von der Leyen, che conta tra gli altri “14 popolari, un conservatore, uno espressione del governo sovranista dell’Ungheria”.
L’europarlamentare e vicepresidente della Commissione Industria Giorgio Gori (S&D/Pd) ha incontrato oggi a Bruxelles il ministro Urso, al quale ha sottolineato che “le imprese automobilistiche europee, che sull’opzione elettrica hanno investito oltre 250 miliardi di euro, non chiedono di rinviare la scadenza del 2035: chiedono invece che la politica europea acceleri la transizione verso l’elettrico con investimenti e scelte riguardanti tutte le componenti dell’ecosistema: fonti energetiche, produzione europea di batterie e componenti high tech, materie prime, infrastrutture di ricarica”.
Secondo Pasquale Tridico, capodelegazione del Movimento 5 Stelle “le ricette illustrate dal Ministro Adolfo Urso al Parlamento europeo per rilanciare il mercato dell’automobile non sono la soluzione e rischiano di aggravare, anziché migliorare, la grave crisi che attraversa il settore e le conseguenze disastrose sull’occupazione”. Secondo il parlamentare “il problema non si affronta con i soli dazi alla Cina o con il rinvio degli obiettivi europei, così come semplicisticamente il Ministro Urso propone: serve un intervento pubblico massiccio per sostenere la transizione sostenibile nel settore della mobilità, partendo dal trasporto pubblico”.