Bruxelles – Con la nomina a tempo scaduto di Hadja Lahbib, ministra degli Affari esteri nel dimissionario governo del Belgio, il ventaglio di candidati commissari europei è completo. Solo un Paese su 27, la Bulgaria, ha ascoltato la richiesta di Ursula von der Leyen di sottoporre due nomi, un uomo e una donna, per poter garantire la parità di genere nel prossimo Collegio. Gli altri hanno tirato dritto, ed il risultato è che la prossima Commissione europea sarà con ogni probabilità a forte trazione maschile: dei 28 profili sul tavolo di von der Leyen (inclusa lei stessa e i due della Bulgaria), solo 10 sono nomi femminili.
L’unica eccezione che von der Leyen aveva ammesso alla sua richiesta riguardava le eventuali conferme di attuali commissari. Così è stato per la Croazia, che ha rinominato Dubravka Šuica, già vicepresidente nella scorsa Commissione europea, per la Francia, che ha confermato l’attuale commissario al Mercato interno, Thierry Breton, per l’Ungheria, che ha indicato nuovamente il commissario per l’Allargamento e la politica di Vicinato, Olivér Várhelyi, per la Lettonia, che ha rinominato il vicepresidente esecutivo Valdis Dombrovskis, per l’Olanda l’attuale commissario per il Clima, Wopke Hoekstra, e per la Slovacchia, che ha rinnovato la nomina all’attuale vicepresidente esecutivo Maroš Šefčovič.
Con gli altri 19 nuovi profili, quattordici membri della prossima Commissione europea dovrebbero essere espressione del Partito Popolare europeo, mentre liberali e socialisti conterebbero cinque commissari a testa. Il candidato italiano, il meloniano Raffaele Fitto, sarebbe l’unico esponente dei Conservatori e Riformisti europei.
Ora la leader tedesca, fresca di conferma per il suo secondo mandato, dovrà distribuire i portafogli ai suoi ‘ministri’. Incluse vicepresidenze ed eventuali vicepresidenze esecutive. Secondo quanto rivelato dal quotidiano tedesco Die Welt, von der Leyen si starebbe orientando sulla nomina di quattro vicepresidenti esecutivi, tra cui Fitto come responsabile dell’Economia e del Piano di ripresa e resilienza. Sarebbe la prima volta per un esponente di un partito di destra radicale alla vicepresidenza dell’istituzione Ue. Gli altri tre sarebbero la socialista spagnola, Teresa Ribera, vicepresidente esecutiva per le transizioni climatica, digitale e sociale; il liberale francese, Thierry Breton, all’industria e l’autonomia strategica; e il popolare lettone Valdis Dombrovskis vicepresidente esecutivo per l’allargamento e la ricostruzione dell’Ucraina.
Ma prima, von der Leyen sta cercando di insistere con alcuni Paesi per ribilanciare il divario di genere del prossimo Collegio: è già tornata sui suoi passi la Romania, che, come ha annunciato il premier Marcel Ciolacu in una conferenza stampa, ha sostituito il candidato Victor Negrescu, neo-vice presidente del Parlamento europeo, con l’eurodeputata, anch’essa socialdemocratica, Roxana Mînzatu.
Una volta definitiva, la squadra di von der Leyen dovrà passare al vaglio dell’Eurocamera: uno alla volta, tra fine settembre ed ottobre, i candidati commissari saranno messi sotto torchio in audizioni di tre ore dalle commissioni parlamentari dell’Aula di Strasburgo.
La procedura prevede che, una volta assegnati gli incarichi secondo gli orientamenti politici delineati da von der Leyen, le commissioni parlamentari competenti valutino ogni commissario designato, prima di una votazione plenaria sulla nomina dell’intero Collegio. Prima delle audizioni di conferma, i candidati passano dalla commissione giuridica del Parlamento, che effettua un esame completo delle loro dichiarazioni di interessi finanziari. L’ultimo passaggio prevede il voto di fiducia dell’intera Eurocamera, per eleggere o respingere la nuova Commissione europea a maggioranza dei voti espressi.
Il processo di audizione all’Eurocamera non è affatto un esame dall’esito scontato: nel 2019, nel processo di formazione della prima Commissione von der Leyen, saltarono tre nomine: i candidati di Romania e Ungheria durante l’esame preliminare delle dichiarazioni sui conflitti d’interesse, e Sylvie Goulard, la nomina francese di Emmanuel Macron sostituita poi da Thierry Breton.