Bruxelles – La Commissione europea sceglie la linea del silenzio e si trincera nei “no comment” di rito. L’arresto del fondatore e amministratore delegato di Telegram, Pavel Durov, è una questione francese e tale rimane, questa la linea espressa dall’esecutivo comunitario in materia. “Non è legato alla legge sui servizi digitali (Dsa)”, chiarisce il portavoce capo dell’esecutivo comunitario, Eric Mamer, che poi aggiunge in modo perentorio: “E’ stato arrestato dalle autorità francesi sulla base del diritto penale francese”. Da qui la scelta del non intervenire su una vicenda che non si considera comunitaria bensì nazionale.
Le accuse mosse nei confronti di Durov sono diverse: pedo-pornografia, traffico di sostanze stupefacenti, possibile partecipazione in crimini informatici. Imputazioni serie quelle a carico dell’imprenditore russo con cittadinanza francese, emiratina e nevisiana, e su cui “non spetta alla Commissione commentare”, insiste Mamer. La stampa però incalza, e chiede lumi sulla possibilità che possano esserci ragioni di sicurezza nazionale. La questione di fondo è capire se l’esecutivo comunitario può avere voce in capitolo in materia di anti-terrorismo. La risposta qui è evasiva: “La Commissione coopera con gli Stati membri in materia di anti-terrorismo”.
Si levano domande molto precise in materia di terrorismo. La vicenda giudiziaria del fondatore e ad di Telegram induce a ritenere che in realtà ci sia qualcosa di diverso alle accuse ufficialmente mosse dalle autorità francese. Il social media è stato oggetto di critiche da più parti per l’utilizzo fatto a sostegno della retorica e della propaganda russa. Sarebbe diventato un ‘megafono di Mosca’, e c’è chi vede, a partire dalla Francia, una mossa politica. Difficile per la Commissione rispondere, perché il terrorismo non è al momento un’accusa formalizzata e diventa molto delicato, per Bruxelles, interferire con le scelte del Paese e contestare pubblicamente l’operato degli inquirenti francesi.
Inoltre la sicurezza nazionale è, per definizione, materia di competenza nazionale. Esiste una definizione europea di ‘terrorismo’, incardinata nella direttiva del 2017 sul contrasto al terrorismo. E’ in realtà un principio più che una definizione, nel senso che è una descrizione molto generica di possibili “atti” potenzialmente pericolosi che alla fine ogni Stato rimane libero di stabilire in autonomia se commessi per intimidire seriamente una popolazione, o costringere indebitamente un governo o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un atto, o destabilizzare seriamente o distruggere le strutture politiche, costituzionali, economiche o sociali fondamentali di un paese o di un’organizzazione internazionale. Se sono atti, cioè, rispondenti alla nozione di terrorismo ai sensi della direttiva.
I giornalisti presenti in sala però pongono un problema: è diventato davvero così semplice e pericolosamente arbitrario stabilire chi sono i buoni e i cattivi? Domanda a cui in Commissione non si risponde. Ci si limita ad assicurare che da parte dell’Ue non c’è accanimento nei confronti di Telegram che, precisa Mamer, allo Stato attuale, per le informazioni raccolte, “non risulta” una grande piattaforma ai sensi del Dma, le legge europea sui mercati digitali, e quindi “non è sotto la sorveglianza diretta della Commissione ma monitorata dai singoli Stati”. Sul resto bocche cucite. Alla giustizia francese il compito di gestire la vicenda di Durov.