Bruxelles – C’è la guerra russo-ucraina, con la risposta euro-atlantica fatta di sanzioni e azioni volte a indebolire la macchina bellica del presidente russo Vladimir Putin. E poi c’è la Turchia, secondo contingente Nato, che continua a lavorare a stretto contatto con Rosatom, la compagnia statale russa, per rilanciare il suo nucleare. Per ottobre di quest’anno è prevista la messa in funzione del primo reattore della centrale di Akkuyu, sito turco sul mare che si affaccia su Cipro. Una collaborazione nata prima dei fatti di febbraio 2022, prima cioé dell’avvio della campagna militare russa in Ucraina, e non interrotta per ragioni economiche, commerciali, legali e ovviamente politiche. Ma il governo di Ankara non ha intenzione di fermare contratti nuovi. Al contrario guarda al partner russo per nuovi investimenti nell’energia da atomo.
E’ il ministro per l’Energia della Turchia, Alparslan Bayraktar, a non aver fatto mistero di guardare ai russi per costruire la centrale nucleare di Sinop, per ora solo un progetto, ma che coinvolge i Paesi del G7 e del G20 che tanto si stanno spendendo contro la Russia. C’è il Giappone nel progetto di consorzio (tramite Mitsubishi), c’è la Francia (tramite Areva) ci sono gli Stati Uniti (attraverso Westinghouse). E poi, a ottobre 2022, a conflitto ruso-ucraino in corso, l’avvio di colloqui e negoziati con Rosatom, il colosso russo.
Tutto questo genera inquietudini in Parlamento europeo. E’ nello specifico l’europarlamentare greco Emmanouil Fragkos, esponente di Soluzione Greca, formazione nazionalista euroscettica che siede tra i banchi dei Conservatori (Ecr). Il ‘patriota’ ellenico denuncia il tutto, ma non in chiave politica. Non ne fa una questione di coerenza con le misure adottate fin qui contro la Russia di Putin e gli sforzi per sostenere l’Ucraina, ne fa una questione strategica ed economica.
“La costruzione di una centrale nucleare nei pressi di Akkuyu, insieme ai colloqui della Turchia con Russia, Stati Uniti, Corea del Sud, Cina e Giappone sulla costruzione di ulteriori impianti, determinerà un enorme e inaccettabile squilibrio energetico, aumentando ulteriormente l’attrattiva della Turchia per gli investimenti”, denuncia il deputato europeo. Nella sua interrogazione depositata il 27 luglio l’europarlamentare chiede dunque di rispondere alla concorrenza turca, per spostare gli investimenti in Europa, a iniziando dalla Grecia. Tanto è vero, domanda all’esecutivo comunitario, “Come può la Grecia richiedere finanziamenti mirati a lungo termine per la produzione di energia nucleare il più presto possibile?”
Sono 13 gli Stati membri dell’Ue con reattori nucleari attivi, e la repubblica ellenica è parte dell’altra metà dell’Unione senza produzione di energia da atomo. La politica energetica turca, con il sostegno di Rosatom, induce Fragkos a spingere per un cambio di rotta. “E’ tempo che la Grecia inizi ad avere una produzione propria di energia nucleare, superando i creatori di problemi delle ong verdi”, scrive sul proprio profilo X l’europarlamentare. Parole e iniziative che mostrano almeno due ordini di problemi per l’Ue della sostenibilità e del sostegno a Kiev: gli ambientalisti per una certa politica sono una zavorra, ponendo il problema della convivenza tra società civile e decisori politici, e l’Ue dei 14 pacchetti di sanzioni contro la Russia viene scavalcata dai partner che continuano a far arricchire il Cremlino e le sue aziende. Il tutto in un’ottica che mina l’autonomia strategica a dodici stelle.