Bruxelles – Era solo una questione di giorni, ma ora lo scontro tra il proprietario di X, Elon Musk, e il primo ministro del Regno Unito, Keir Starmer, ha attraversato la Manica e qualcosa anche all’interno dell’Unione Europea si sta muovendo. Perché nel mondo fluido e senza reali confini delle piattaforme online, ciò che sta succedendo nelle città britanniche non può non avere un impatto sulla diffusione di contenuti illegali e di disinformazione anche per gli utenti dell’Unione Europea, come messo in evidenza dall’alimentazione delle violenze dell’estrema destra nel Regno Unito da parte dell’imprenditore sudafricano/statunitense sulla sua stessa piattaforma.
“Si potrebbe pensare che Musk, in quanto proprietario di una piattaforma di social media utilizzata e apprezzata da milioni di cittadini europei, abbia la responsabilità morale di non incoraggiare il disordine“, è quanto si legge in una inviata dai leader del gruppo liberale Renew Europe al Parlamento Europeo – la presidente Valérie Hayer e il primo vice-presidente Billy Kelleher – che richiede alla Commissione Ue un intervento diretto per contrastare il rischio di diffusione anche sul territorio Ue degli effetti negativi dell’atteggiamento del proprietario di X: “Se non può essere costretto dall’etica, deve intervenire la legge“. Dopo l’ondata di violenti proteste scoppiate a seguito dell’uccisione di tre bambini a Southport (per cui sono state accusate persone migranti in modo infondato, attraverso la diffusione di fake news sui social network), Musk ha alimentato continuamente le tensioni, attaccando il premier Starmer, condividendo post totalmente falsi (come quello che sosteneva che le persone arrestate saranno inviate in centri di detenzione nelle Isole Falkland) e sostenendo che in Europa “la guerra civile è inevitabile”.
Alla luce di queste evidenze gli eurodeputati liberali hanno scritto alla vicepresidente esecutiva per il Digitale, Margrethe Vestager, e al commissario per il Mercato interno, Thierry Breton (entrambi di orientamento liberale), per esprimere preoccupazione sulla “continua proliferazione della disinformazione e dell’informazione su X, che probabilmente sta giocando un ruolo nel guidare la violenza politica in Europa“. Nonostante gli esponenti dello schieramento liberale siano “sostenitori del diritto alla libertà di parola”, è altresì vero che questo diritto “non è un lasciapassare per la disinformazione”, come messo nero su bianco anche dal Digital Services Act, la legge Ue sui servizi digitali entrata pienamente in vigore nel febbraio di quest’anno. Una legislazione che coinvolge X come piattaforma gatekeeper (di grandi dimensioni) e che – tra gli altri obblighi – impone di “mitigare i rischi come quelli legati ai contenuti illegali online, alla disinformazione o alla manipolazione elettorale, agli effetti negativi sul discorso civico o sulla sicurezza pubblica”.
Più nello specifico Hayer e Kelleher collegano la questione alla “stabilità della nostra democrazia”, una “questione urgente” che ha bisogno di uno sforzo aggiuntivo: “Chiediamo alla Commissione di intraprendere ogni possibile azione immediata a sua disposizione per prevenire ogni ulteriore destabilizzazione“, ma anche di “valutare con urgenza l’impatto delle piattaforme dei social media sul discorso politico in Europa”. Da parte dell’esecutivo dell’Unione, dopo i primi tentennamenti di inizio settimana sul fatto che “il Digital Services Act è applicabile solo sul territorio Ue”, ieri (8 agosto) è arrivata una prima risposta più decisa. “Non possiamo certo essere ingenui, la situazione nel Regno Unito potrebbe avere effetti sull’Ue e seguiamo da vicino anche la risposta di X“, è quanto affermato dal portavoce responsabile per il Digitale, Thomas Regnier, parlando alla stampa di Bruxelles. “Tutto ciò potrebbe essere preso in considerazione nella procedura di infrazione che abbiamo aperto contro X sulla disinformazione e i contenuti illegali”, è l’anticipazione del portavoce della Commissione Ue.
La saga Ue vs Musk
È lunga e articolata la saga di un rapporto di fiducia mai nato tra l’Unione Europea e Musk, sin dal giorno dell’acquisizione di Twitter e il suo rebranding in X. Già nell’ottobre 2022 il commissario Breton aveva avvertito l’imprenditore sudafricano/statunitense che “in Europa, l’uccellino [allora simbolo di Twitter che oggi è stato sostituito con una X, ndr] volerà secondo le nostre regole“, ovvero quelle previste dal Digital Services Act. Dal 25 agosto dello scorso anno X è nella lista delle 19 piattaforme gatekeeper che devono rispettarne gli obblighi (in caso contrario sono previste multe fino al 6 per cento del fatturato globale), ma solo dopo pochi mesi l’esecutivo Ue ha avviato una procedura d’infrazione per valutare se la piattaforme non si è allineata a diverse disposizioni della legge sui servizi digitali. Il parere preliminare di Bruxelles è arrivato lo scorso 12 luglio, riconoscendo che il social network di proprietà di Musk avrebbe già violato la legislazione europea.
Oltre alla questione strettamente inerente al Digital Services Act, da novembre 2022 l’azienda di Musk aveva deciso prematuramente di smettere di valutare la disinformazione legata al Covid-19, uscendo dal programma di rendicontazione europeo sulla responsabilità delle Big Tech nella diffusione di notizie legate alla pandemia e alla campagna di vaccinazione. La scelta di non rilasciare più i report sulle misure implementate per combattere la disinformazione era stata definita dalla vicepresidente della Commissione Ue responsabile per i Valori e la trasparenza, Věra Jourová, “la strada dello scontro” seguita dal magnate sudafricano/statunitense. In questo contesto ha sollevato enormi polemiche la decisione di aprile 2023 di non etichettare più i media controllati da regimi autoritari come Russia, Cina e Iran e le agenzie di propaganda come ‘media affiliato allo Stato’, così come la fine del divieto di promozione o consiglio automatico agli utenti dei loro contenuti.
Ancor prima, a dicembre 2022, il gabinetto von der Leyen aveva già minacciato sanzioni a seguito della sospensione arbitraria degli account di diversi giornalisti che si occupano di tecnologia e che erano stati molto critici nei confronti del nuovo proprietario Musk. Solo un mese prima la stessa Commissione si era espressa contro la chiusura temporanea (ancora in atto) dell’ufficio europeo a Bruxelles, in particolare per le conseguenze sul piano dell’implementazione del Codice di condotta Ue sulla disinformazione e della nuova legge sui servizi digitali. Ultima in ordine cronologico – fino allo scoppio delle tensioni nel Regno Unito – il 10 ottobre dello scorso anno era andato in scena proprio su X un duro scambio di battute tra il commissario Breton e il proprietario della piattaforma: “Caro signor Musk, in seguito agli attacchi terroristici compiuti da Hamas contro Israele, abbiamo avuto indicazioni che la vostra piattaforma viene utilizzata per diffondere contenuti illegali e disinformazione nell’Ue“, era stato l’avvertimento del membro del gabinetto von der Leyen. Ora le istituzioni Ue potrebbero considerare se è lo stesso capo di X a farsi promotore di diffusione di disinformazione e contenuti illegali sulla piattaforma di social network.