Bruxelles – I Paesi dell’Ue chiudono troppo spesso gli occhi di fronte alle “gravi, ricorrenti e diffuse” violazioni dei diritti umani contro persone migranti e richiedenti asilo alle frontiere dell’Unione. È la triste constatazione – perché di allarme, ormai non si può più parlare – dell’Agenzia dell’Ue per i diritti fondamentali (Fra), secondo cui le autorità nazionali non fanno abbastanza per indagare le numerose e credibili violenze ai loro confini.
Nel giorno in cui Amnesty International denuncia un’altra volta le detenzioni illegali e le condizioni disumane nell’hotspot finanziato dall’Ue a Samos, in Grecia, l’Agenzia Ue aggiunge una tessera del puzzle: anche quando vengono avviate indagini a livello nazionale, “queste vengono spesso archiviate in fase preprocessuale”. E comunque – come rilevato dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt) – “non soddisfano i requisiti di indipendenza, completezza, trasparenza, tempestività e partecipazione delle vittime“, fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Motivo per cui – rileva il rapporto di Fra – un numero crescente di vittime si rivolge proprio alla Corte di Strasburgo, che negli ultimi anni ha riscontrato cinque casi in cui le autorità nazionali in Grecia, Croazia e Ungheria “non hanno indagato efficacemente su episodi di maltrattamento e perdita di vite umane durante la gestione delle frontiere”. Attualmente, oltre 30 casi di presunti maltrattamenti alle frontiere esterne dell’Ue sono in attesa di giudizio presso la Cedu. Sono coinvolti otto Stati membri: Croazia, Cipro, Grecia, Ungheria, Italia, Lettonia, Lituania e Polonia.
Violazioni dei diritti umani alle frontiere dell’Ue: Poche indagini e ancor meno condanne
Tra le storpiature nelle indagini nazionali, il rapporto cita sforzi insufficienti per localizzare e ascoltare vittime e testimoni, ostacoli al lavoro degli avvocati e barriere all’accesso a prove fondamentali, come i filmati di sorveglianza. E, più in generale, “l’attribuzione di maggior peso” alle dichiarazioni degli agenti rispetto a quelle delle vittime e dei testimoni.
Tra gli esempi più eclatanti, la vicenda di un minore non accompagnato, ritrovato in Francia da alcuni volontari privo di sensi, con il cranio fratturato e il labbro gonfio. Il ragazzino era stato fermato dalla polizia dopo essersi nascosto in un camion in direzione Regno Unito. Il caso, e le accuse di un possibile coinvolgimento della polizia francese, sono stati segnalati alla procura di Boulogne-sur-Mer, ma non se n’è poi fatto nulla. Impressionante anche quel che è successo a due palestinesi fermati dalle autorità greche a Kos nel giugno 2022: presumibilmente sottoposti ad abusi fisici e sessuali e abbandonati su una zattera di salvataggio in mare, sono stati salvati dalla guardia costiera turca. La denuncia ufficiale è ancora pendente presso il pubblico ministero greco.
Sono solo alcuni esempi di procedimenti giudiziari nazionali in cui “prevale un senso di impunità” e che non portano ad alcuna condanna. “Sono troppe le denunce di violazione dei diritti umani alle frontiere dell’Ue”, ha commentato la direttrice del Fra, Sirpa Rautio, sottolineando la necessità di “indagini solide e indipendenti su tutti gli episodi di abuso dei diritti”. Ma i casi in cui vengono avviate le indagini sono rari: l’Agenzia Ue riporta il dato diffuso da una Ong francese, che ha dichiarato che a Calais solo un caso di violazione dei diritti su dieci viene denunciato alle autorità di polizia. Perché le vittime si trovano in una situazione di vulnerabilità, perché hanno paura di rappresaglie, sfiducia nelle autorità o timore di potenziali impatti negativi sulla procedura di asilo.
Le autorità nazionali e Frontex: chi svolge le indagini
Quando le guardie di frontiera nazionali violano le garanzie dei diritti fondamentali previste dalle norme europee, è responsabilità dello Stato membro svolgere indagini sulla base del proprio diritto nazionale. Ma se Bruxelles scopre che i governi nazionali non indagano sulle accuse di violazione dei diritti fondamentali durante la gestione delle frontiere, può intervenire nell’ambito del meccanismo di valutazione e monitoraggio di Schengen. È già successo nei confronti della Grecia, a cui il Consiglio dell’Ue ha raccomandato di svolgere indagini approfondite e tempestive sulle gravi accuse di maltrattamento riportate.
Anche Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, può indagare sugli incidenti. Ma, come nel caso delle autorità nazionali, si occupa prevalentemente di fare luce sugli episodi in cui è coinvolto direttamente il proprio personale. Non proprio in linea con il requisito di indipendenza fissato dalla Cedu. Tra il 2016 e il 2023, Frontex ha ricevuto 229 denunce, di cui solo 42 sono risultate ammissibili. Tuttavia il personale di Fronte può fungere anche da sentinella, segnalando incidenti gravi nella gestione delle frontiere: dal 2019 al 2023, è successo 206 volte. Nel 2023, la maggior parte delle segnalazioni di incidenti gravi hanno riguardato la Grecia (23 casi) e la Bulgaria (11 casi).
I passi da compiere e quelli già fatti con il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo
Per garantire indagini efficaci, l’Agenzia Ue per i diritti umani indica diversi passi da compiere. Tra cui una più capillare registrazione delle testimonianze e un migliore utilizzo dei filmati di sorveglianza e dei dati GPS dei veicoli e del personale delle forze dell’ordine, la pubblicazione periodica di statistiche sulle indagini disciplinari e penali e sui loro esiti, l’assegnazione dei casi a dipartimenti specializzati nella procura per garantire indagini imparziali, l’emanazione di linee guida chiare per le indagini sugli abusi alle frontiere e per la raccolta delle prove. E ancora, l’Agenzia suggerisce alle autorità nazionali di dotarsi di avvocati o di organizzazioni per la protezione delle vittime, che ne garantiscano l’effettiva partecipazione ai procedimenti.
Il tutto accompagnato da ferme azioni preventive all’interno delle autorità nazionali di frontiera: la formazione sui diritti fondamentali, istruzioni chiare sulla tolleranza zero nei confronti di comportamenti abusivi, l’uso di cartellini con il nome o il numero di matricola per identificare i singoli agenti di pattuglia. Secondo l’Agenzia europea, il nuovo Patto sulla migrazione e l’Asilo “rappresenta un’opportunità per affrontare questi problemi”. All’interno della riforma, il regolamento sullo screening obbliga gli Stati membri a indagare sulle denunce di violazione dei diritti fondamentali alle frontiere e ad adottare piani di attuazione nazionali che dovrebbero contenere anche misure per indagini rapide ed efficaci.
Ma lo stesso regolamento non applica alcun meccanismo di monitoraggio alle attività di sorveglianza delle frontiere. Laddove accadono una larga fetta delle “gravi, ricorrenti e diffuse” violazioni dei diritti umani contro persone migranti.