Cinque mesi persi per poi tornare al “via”. Che era il punto dal quale partire e che molti hanno tentato di evitare.
Lunedì i leader dei Paesi dell’euro, cioè Angela Merkel, François Hollande, Matteo Renzi, e gli altri si riuniranno a Bruxelles per trovare una “soluzione politica” al negoziato con la Grecia. Era quel che si sarebbe dovuto fare sin dal principio, quello sul quale EUNEWS ha insistito più volte. Era, è vero, quello che voleva Alexis Tsipras e che i creditori hanno cercato di evitare sino all’ultimo momento, ma era l’unica via possibile per affrontare quel che sta accadendo. Non sappiamo come andrà a finire, ma una soluzione, a nostro giudizio, è più probabile dell’abbandono del tavolo.
I greci già ben prima che Tsipras vincesse le elezioni, già ben prima che si parlasse di quelle elezioni, non stavano facendo quello che i creditori, “le Istituzioni”, chiedevano. E non lo facevano perché non era possibile farlo. La cinta era stata stretta già oltre misura e neanche il governo del popolare Antonis Smaras riusciva a rispettare i patti che esso stesso aveva sottoscritto. Per questo il governo era caduto. I numeri che venivano diffusi da Bruxelles sulla crescita dell’economia greca prevista per quest’anno erano chiaramente falsi, al massimo delle “belle speranze” basate sui soliti algoritmi che in buona parte erano sbagliati, come ammisero davanti al Parlamento europeo proprio i funzionari del Fondo Monetario Internazionale.
Tsipras ha solo detto questa verità, che Samaras non poteva dire ed infatti giocò il tutto per tutto sapendo che avrebbe perso la sfida (il casus fu l’elezione del Capo dello Stato) e che la patata bollente di dire che non si poteva più andare avanti sarebbe toccata al nuovo governo. E Samaras sapeva che non sarebbe stato il suo. La gran parte del debito greco, il 40 per cento, è nelle mani del Fondo salvastati Efsf, lo ha ricordato l’istituzione con un suo comunicato proprio giovedì pomeriggio. Altra gran parte è nelle banche tedesche e francesi, sulle quali i governi hanno grande influenza. Poi, ovviamente c’è anche il Fondo monetario internazionale. Il controllo politico sulla situazione dei conti greci è evidente, chi ha dato i soldi è chi può negoziare e scendere a patti ragionevoli. Dobbiamo averlo chiaro.
La Grecia ha dalla sua parte una forza fondamentale: ha la stessa moneta della Germania, e una crisi ad Atene non sarebbe una crisi in un piccolo paese con una minuscola economia, ma sarebbe una crisi della Germania, della Francia, dell’Italia. E dunque anche di tutti quelli, Stati Uniti in prima fila, ma anche la Gran Bretagna, che hanno interesse alla stabilità e solidità dell’economia europea. Dunque c’è una rete di protezione automatica, che certo potrebbe strapparsi, ma è in realtà abbastanza forte per tenere e far fronte alla situazione greca. Il problema è innanzitutto politico, e tocca anche le relazioni con altri Paesi che sono stati aiutati e che, in condizioni molto diverse, hanno risalito (poi bisognerà vedere di quanto) la china, i quali non accettano che altri abbiano un trattamento diverso.
In realtà però era chiaro a tutti ben prima di gennaio che la Grecia non poteva andare avanti, che nessuna riforma delle pensioni o aumento dell’Iva avrebbero avuto risultati rapidi ed efficienti nel favorire la ripresa. Le pensioni perché i frutti di una riforma arrivano dopo anni, l’Iva perché se un paese non produce non c’è nulla da pagare. Atene ha molti torti, storici, dei quali questo governo non può non farsi carico, ma serve del tempo, sia per modificare i gangli vitali di un Paese corrotto nel profondo e quasi del tutto inefficiente, dove ancora esistono privilegi per alcune categorie, come gli armatori, duri ad essere superati. Ma anche per certi pensionati. Rimettere a posto tutto richiede tempo. Decenni e decenni di malgoverno (durante i quali c’è stata anche una dittatura) non si superano in pochi mesi. Se un tessuto produttivo non c’è, se il sistema dell’istruzione non funziona, se le imposte non vengono pagate, serve del tempo a ripartire. Si tratta di ferite profonde, che non si può pensare di sistemare con dei cerotti.
E allora la scelta deve essere politica, si deve riconoscere che in Grecia c’è una situazione dell’economia e dell’amministrazione che è chiara a tutti, che c’è il governo che c’è, e che l’interesse dell’Europa è di superare la crisi, di aiutare la Grecia (che tra l’altro, come l’Italia, è stata abbandonata anche sul fronte migranti, che arrivano a decine di migliaia quasi come sulle nostre coste). Per aiutarla c’è un solo modo: darle tempo e pretendere impegni. Il che vuol, dire congelare il debito e contemporaneamente ottenere il varo di un percorso di riforme che sia credibile e soprattutto possibile, e questo sta soprattutto naturalmente nella volontà del governo di Atene. La soluzione politica è mettere, di fatto, Atene davanti a un muro, dire a Tsipras, “ok, sui debiti ti diamo tanto tempo, e questo è quel che chiedi, ma tu in cambio devi fare le riforme necessarie a far sì che la Grecia prenda la strada per diventare un Paese ‘sano’”. Poi, fra sei mesi, ma meglio un anno, si faranno i conti.