Bruxelles – Il primo ostacolo è superato, ora all’orizzonte ce n’è un altro da non sottovalutare per Ursula von der Leyen, se vuole puntare ad altri cinque anni al Berlaymont. Dopo aver ricevuto il via libera del Consiglio Europeo alla sua nomina come candidata alla presidenza della Commissione Europea, la numero uno dell’esecutivo Ue uscente deve passare dalla prova del voto parlamentare, dove la maggioranza c’è, ma rischia di non essere così solida come potrebbe sembrare. Popolari, socialdemocratici e liberali a oggi possono contare su 399 seggi – 38 in più della soglia minima – ma il rischio di franchi tiratori in plenaria è troppo alto, e ora per von der Leyen iniziano tre settimane di fuoco nel tentativo di puntellare la maggioranza e passare indenne dall’esame di Strasburgo.
“Lavorerò con tutti i membri del Parlamento Europeo pro-Ucraina, pro-Ue e pro-Stato di diritto“, ha confermato nella tarda serata di ieri (27 giugno) in conferenza stampa la candidata ufficiale del Consiglio Europeo a succedere a se stessa alla guida della Commissione, precisando che “siamo nel pieno del processo della piattaforma Ppe-S&D-Renew per convincere anche i membri di altri gruppi”. Nessun riferimento esplicito ai 24 eurodeputati di Fratelli d’Italia della premier italiana, Giorgia Meloni – che al tavolo dei leader Ue si è astenuta su von der Leyen, unica tra i Ventisette fatta eccezione per la bocciatura del premier ungherese, Viktor Orbán – ma questo non significa certo un taglio dei ponti. “Parlerò con le delegazioni nazionali e andrò nei gruppi parlamentari che mi inviteranno“, ha aggiunto von der Leyen, lasciando aperte le prospettive per “un’ampia maggioranza per un’Europa più forte”.
Mentre la formazione dei gruppi dovrà concludersi entro giovedì prossimo (4 luglio), von der Leyen sa che da oggi dovrà lavorare “in modo intenso nelle prossime tre settimane”. Anche se sarà confermato solo con la pubblicazione dell’agenda (l’11 luglio) della sessione inaugurale del nuovo Parlamento Ue, la presidente uscente dell’Eurocamera, Roberta Metsola (anche lei in lizza per la conferma a succedere a se stessa) ha reso noto che il voto di conferma “si potrà già tenere il 18 luglio”. Questo non prima di “aver presentato il mio programma politico per i prossimi cinque anni”, ha comunque puntualizzato von der Leyen alla stampa. Ma il momento più delicato sarà proprio in occasione del voto dei 720 eurodeputati, su cui si può già iniziare a fare qualche conto.
Se si considera l’elezione del 2019, allora la stessa maggioranza contava 444 seggi, eppure allora von der Leyen era stata approvata con soli 383 voti. Significa che, rispetto alla maggioranza sulla carta, era venuto meno un 13,5 per cento di eurodeputati popolari, socialisti e liberali (anche di più se si considera l’apporto decisivo dei 14 del Movimento 5 Stelle e i 26 dell’ultradestra polacca di Diritto e Giustizia). Tradotto nell’estate del 2024 – anche se i tempi sono cambiati, ma non l’incertezza – significherebbe 54 voti in meno rispetto ai 399 seggi provvisori dei gruppi del Partito Popolare Europeo (Ppe), dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D) e di Renew Europe: 345 voti a favore, 16 in meno della soglia minima per l’elezione.
Ecco perché, con il favore dello scrutinio segreto, la vera partita di Meloni si gioca ora all’Eurocamera, dove potrà provare a fare pesare i suoi 24 voti. Ma per von der Leyen il margine non sarebbe ancora abbastanza ampio per ritenersi in salvo, ed ecco che può rientrare in gioco il gruppo dei Verdi/Ale che, nonostante la forte battuta d’arresto alle elezioni europee e il calo a 54 seggi, da settimane invoca la “responsabilità” di sostenere la maggioranza. Da una parte, l’apertura ai deputati che siedono nel gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) potrebbe aprire crepe con socialdemocratici e liberali, dall’altra un puntellamento dei Verdi potrebbe tradursi in una fuga di voti degli stessi popolari. Il duro compito di von der Leyen in queste settimane sarà anche quello di capire dove può forzare la mano e dove gli equilibri sono troppo fragili per essere toccati, mettendo a rischio la sua conferma: “Devo contattare le delegazioni che hanno dubbi per dare loro risposte“, ha rassicurato la numero uno della Commissione uscente.
Se supererà lo scoglio della plenaria di Strasburgo, von der Leyen dovrà mettere insieme la nuova squadra dei commissari europei, altra incombenza di non poco conto se si considera che anche in questo caso dovrà essere trovato un delicato equilibrio, ma con i 26 governi nazionali (quello tedesco si è già espresso, sostenendo lei): ciascuno di essi designa il proprio membro del Collegio e concorda con la presidenza della Commissione ruolo e portafoglio da assegnare. Se a luglio si dovesse già avere il nome di von der Leyen come presidente della Commissione (se fallisse la maggioranza, il Consiglio Europeo dovrà proporre un altro candidato entro un mese), i tempi per la conferma dei commissari potrebbero essere anticipati tra settembre e ottobre, quando ogni commissione parlamentare li esaminerà con domande scritte e in audizione pubblica, ciascuna sulla base del proprio ambito di competenza. La Conferenza dei presidenti dovrà infine elaborare un progetto di risoluzione da votare in plenaria (la previsione di questo voto per molti è dopo la metà di novembre), quando a maggioranza semplice dei voti espressi gli eurodeputati dovranno approvare la nomina dell’intero Collegio dei commissari per il mandato quinquennale.