Bruxelles – L’espressione top jobs nei corridoi delle istituzioni Ue ormai è una delle più ricorrenti dopo le elezioni europee del 6-9 giugno. Perché dopo la definizione dei rapporti di forza tra i partiti europei secondo l’espressione democratica dei cittadini dell’Unione, ora a Bruxelles la partita si sposta sul tavolo delle trattative per la distribuzione delle cariche ai vertici della Commissione, del Parlamento e del Consiglio Europeo. Come mai prima d’ora – fatte salve le sorprese che sono sempre all’ordine del giorno nella politica nazionale ed europea – la spartizione degli incarichi potrebbe filare liscia e veloce, con grande probabilità già prima della pausa estiva tra fine luglio e inizio settembre.
Il nome di Mario Draghi è stato associato negli ultimi mesi a praticamente tutte le istituzioni Ue, ma ormai non è più pronunciato da nessuno dopo le elezioni europee. La rosa dei nomi si sta dunque definendo in modo abbastanza preciso in questi giorni, in attesa del primo vertice (informale) tra i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi Ue in programma a cena lunedì prossimo (17 giugno). Sarà lì che i leader si confronteranno di persona sui nuovi equilibri post-elettorali e su come tradurli a livello di incarichi ai vertici delle istituzioni Ue. I popolari europei hanno già confermato che, dopo la convincente prova elettorale dei partiti nazionali affiliati al Ppe, si aspettano di ottenere sia la presidenza della Commissione sia quella del primo “turno” di due anni e mezzo del Parlamento, in linea di perfetta continuità con la fine della nona legislatura. Questo vale anche per quanto riguarda i nomi, che sono rispettivamente quello della tedesca Ursula von der Leyen e della maltese Roberta Metsola.
Per quanto riguarda la prima, non sembrano al momento esserci alternative credibili per la leadership dell’esecutivo dell’Unione, anche se von der Leyen deve guardarsi dall’incertezza politica che regna in diverse capitali dopo le elezioni europee. Ma la situazione è talmente calma a Bruxelles che l’unico tema controverso in queste ore riguarda la sua partecipazione al vertice informale del 17 giugno. Dopo il maldestro tentativo del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, di non invitarla nemmeno al tavolo dei Ventisette (nonostante la presidente della Commissione Europea sia membro del Consiglio Europeo), la soluzione di compromesso raggiunta dalla maggioranza dei leader Ue sarebbe quella di farla partecipare alla prima sessione sui risultati delle elezioni europee, ma non alla cena vera e propria in cui si discuterà del nome per la guida dell’istituzione Ue a cui è candidata (a succedere a se stessa).
Per quanto riguarda la presidenza del Parlamento Europeo il nome forte è sempre quello di Metsola, che guida l’istituzione Ue dal gennaio 2022. La popolare maltese non ha fatto speculazioni sulla sua conferma questa mattina (12 giugno) all’uscita dalla riunione del gruppo del Ppe all’Eurocamera, anche considerato il fatto che questa carica non sarà formalmente decisa dal Consiglio Europeo ma dai 720 eurodeputati alla sessione plenaria inaugurale della decima legislatura tra il 16 e il 19 luglio. Secondo quanto si apprende a Bruxelles, l’unica possibile insidia potrebbe arrivare dai popolari spagnoli – terza delegazione più numerosa all’interno del gruppo dietro ai tedeschi e ai polacchi – che potrebbero presentare un nome alternativo nelle prossime settimane. Per quanto riguarda invece la staffetta tra popolari e socialdemocratici alla presidenza del Parlamento Ue nel corso dei prossimi cinque anni di legislatura, diverse fonti nei due gruppi avvertono che è un tema ancora prematuro e che dipenderà dalla distribuzione delle cariche nelle altre istituzioni Ue.
A proposito di socialdemocratici, il Partito del Socialismo Europeo (Pse) sta puntando tutte le carte sulla prossima presidenza del Consiglio Europeo, dopo essersi riconfermato come seconda forza all’Eurocamera e limitando il rischio di emorragia di voti. I socialisti europei rimangono il partner imprescindibile per i popolari nella maggioranza centrista al Parlamento Ue e per questo motivo, considerato il parallelo crollo dei liberali, ora puntano a qualcosa di più dell’alto rappresentante Ue (come negli ultimi due mandati). Il chiaro favorito è l’ex-premier portoghese António Costa, che avrebbe già incassato l’appoggio del governo di centro-destra presieduto da Luís Montenegro, e nemmeno nelle altre capitali viene considerata un problema la bufera dell’inchiesta di presunta corruzione che lo ha costretto alle dimissioni nel novembre 2023, pur non riguardandolo personalmente. Solo i nordici potrebbero avanzare delle rimostranze su questo terreno per provare a spingere la premier danese (socialista) Mette Frederiksen.
E infine c’è l’ultima carica in ballo dopo le elezioni europee, che nella logica di spartizione dei vertici delle istituzioni Ue tra partiti dovrebbe essere rivendicata dai liberali. In pole position per il posto di alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza c’è l’attuale prima ministra dell’Estonia, Kaja Kallas, che dal 24 febbraio 2022 si è ritagliata il ruolo di irreprensibile leader al fianco dell’Ucraina invasa dalla Russia, tra i più decisi al tavolo dei 27 leader Ue. Proprio questa carta potrebbe valere alla premier estone la promozione alla guida della politica estera dell’Unione, come dichiarazione di un sostegno a Kiev che dopo oltre due anni non è destinato a venire meno da Bruxelles. Un altro indiziato da un punto di vista geografico e di appoggio netto all’Ucraina è l’attuale ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, ma – a differenza di Kallas – non avrebbe le credenziali partitiche (è un popolare) e meno peso sul piano politico.