Bruxelles – La qualità dell’aria in Europa continua il suo lento miglioramento, ma l’inquinamento atmosferico rappresenta ancora il più grande pericolo per la salute ambientale. La prima causa di morte precoce nell’Ue legata all’ambiente, responsabile di circa 300 mila decessi prematuri all’anno. Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, il 96 per cento dei cittadini europei che vivono in città sono esposti a concentrazioni di particolato fine (PM2,5 e PM10) superiori alle linee guida dell’Oms. Ma in Croazia, Italia e Polonia si registrano ancora concentrazioni superiori anche ai più blandi limiti imposti da Bruxelles.
L’AEA ha pubblicato il rapporto sulla qualità dell’aria relativo al biennio 2022-23: i dati del 2022 sono definitivi e convalidati dai Paesi dichiaranti mentre l’analisi del 2023 si basa su dati provvisori. La prima conclusione da trarre è che “la qualità dell’aria in Europa sta migliorando, ma gli standard Ue non sono ancora rispettati in tutta Europa”. Nel 2022, solo il 2 per cento delle stazioni di monitoraggio europee ha registrato concentrazioni di particolato fine superiori al valore limite annuale dell’Ue. In Croazia, Italia e Polonia.
Se si cambia unità di misura e si guardano le concentrazioni superiori al valore limite giornaliero dell’Ue per le PM10, queste si riscontano principalmente nella Pianura Padana e in alcune regioni dell’Europa orientale. Stesso discorso per le PM2,5, particelle ancora più dannose, quelle con un diametro pari o inferiore a 2,5 µm. Ma mentre nei Paesi dell’ex blocco sovietico la causa è da ricercare nei combustibili solidi, come carbone e legno, che “sono ampiamente utilizzati per il riscaldamento domestico e in alcuni impianti industriali e centrali elettriche”, in Nord Italia le elevate concentrazioni “sono dovute alla combinazione di un’elevata densità di emissioni antropiche e anche di condizioni meteorologiche e geografiche che favoriscono l’accumulo di inquinanti atmosferici nell’atmosfera e la formazione di particelle secondarie”.
Sfogliando i dati relativi al 2022 e al 2023, si può tuttavia notare un miglioramento anche nella Val Padana. Diminuiscono infatti le stazioni di monitoraggio che superano o si avvicinano all’attuale valore limite annuale imposto dall’Ue, cioè 25 µg/m³. Nel 2022, a sforare lo standard Ue erano state solo Milano e il comune di Spinadesco, in provincia di Cremona, mentre diverse località lungo la Torino-Venezia avevano registrato valori compresi tra 20 e 25 µg/m³. I dati provvisori dell’anno successivo suggeriscono una maggiore circoscrizione del fenomeno alle province metropolitane di Milano e Torino. Con un dato preoccupante di 156 µg/m³ raggiunto nella zona industriale di Mirafiori, nel capoluogo piemontese.
Il problema però è che questo lieve miglioramento non è sufficiente: non solo i dati registrati in Pianura Padana rimangono ben lontani dai livelli delineati nelle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma non si conformerebbero nemmeno ai nuovi standard di qualità dell’aria per il 2030 concordati a livello Ue lo scorso febbraio. Che avvicinano – per quanto ancora meno rigorosi – quelli dell’Oms. Per esempio, per i due inquinanti più dannosi sulla salute umana, il particolato fine e il biossido di azoto (NO2), i valori limite annuali dovranno essere più che dimezzati entro la fine del decennio, passando rispettivamente da 25 µg/m³ a 10 µg/m³ e da 40 µg/m³ a 20 µg/m³.
Di tutte le stazioni di monitoraggio presenti in Nord Italia e incluse nel rapporto dell’AEA, solo quella di Moggio, in provincia di Lecco, ha fatto registra una concentrazione annuale al di sotto dei 10 µg/m³. Ma Moggio si trova nell’Altopiano della Valsassina, a 900 metri d’altitudine. Il governo italiano ha strappato a Bruxelles la possibilità di una deroga per il raggiungimento dei nuovi obiettivi fino al 1 gennaio 2040 per le zone in cui il rispetto della direttiva entro il 2030 sarebbe “irrealizzabile a causa di specifiche condizioni climatiche e orografiche” o dove le riduzioni possono essere raggiunte “solo con un impatto significativo sui sistemi di riscaldamento domestico esistenti”. Una deroga che pare inevitabile, ma a spese degli abitanti della Pianura Padana.