Bruxelles – Questa volta è un trionfo per il partito al potere in Serbia, il Partito Progressista Serbo (Sns) controllato da vicino dal presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić. Dopo l’ondata di proteste e le obiezioni della comunità internazionale su diverse criticità emerse nello svolgimento delle elezioni legislative e amministrative del 17 dicembre 2023, nella capitale Belgrado si è tornati ieri (2 giugno) al voto per la nuova composizione del Consiglio comunale. Nella vittoria schiacciante del partito al potere da 12 anni a livello nazionale (e 11 nella capitale) sono emerse però ancora nuove possibili irregolarità e violenze, e una retorica nazionalista ormai esasperata.
“Deploriamo le minacce e gli attacchi subiti dai giornalisti durante i servizi sulle elezioni del 2 giugno“, è la denuncia dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) su quanto accaduto ieri a Belgrado: “I giornalisti hanno un ruolo cruciale nel coprire le elezioni, per informare il pubblico sui candidati, le loro piattaforme e gli sviluppi in corso”. L’Osce, che già aveva denunciato tutta una serie di punti deboli nello svolgimento dell’ultima tornata di voto a livello nazionale e locale, continua a esortare “leader politici, funzionari pubblici e autorità a condannare inequivocabilmente e a indagare prontamente su tutti i casi di violenza e minacce contro i giornalisti”.
È in questo contesto che il Partito Progressista Serbo ha conquistato 64 seggi su 110 al Consiglio comunale di Belgrado, secondo quanto emerge dai risultati finali dello scrutinio dei voti, e ora l’ex-giocatore di pallanuoto Aleksandar Šapić è pronto a diventare sindaco. A differenza delle elezioni di dicembre l’opposizione ha corso divisa, con alcuni movimenti che hanno deciso di boicottare il voto – l’affluenza al voto si è fermata al 46 per cento – mentre gli altri si sono schierati o con il candidato Savo Manojlović (per la coalizione ‘Anche io sono Belgrado’) o con Dobrica Veselinović (per ‘Scegliamo Belgrado’). A spingere alle urne il partito di Vučić è stata anche la ventata di retorica ultranazionalista sprigionata nel Paese dopo il voto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sull’istituzione della Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio di Srebrenica, su cui ha fatto leva proprio il presidente serbo per compattare la base degli elettori del partito al potere.
Le tensioni tra Ue e Serbia dopo le elezioni di dicembre
I sei mesi trascorsi tra le elezioni legislative anticipate del 17 dicembre 2023 e la ripetizione delle amministrative nella capitale Belgrado di ieri sono stati tutt’altro che sereni tra Bruxelles e Belgrado, considerato quanto accaduto proprio alle urne alla fine dello scorso anno. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone erano scese in piazza per settimane, rispondendo all’appello dei partiti e movimenti riuniti nella coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, appena sconfitta dal Partito Progressista Serbo. Anche la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce ha rilevato “l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti“, mettendo con le spalle al muro il governo per ripetere quantomeno il voto nella capitale.
Proprio la questione del rispetto degli standard democratici ha esacerbato i rapporti tra la Serbia di Vučić e le istituzioni Ue. In occasione delle elezioni del 17 dicembre, l’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Osce Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale) aveva confermato di aver “assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska [l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina, ndr]” a Belgrado senza essere formalmente registrati come residenti. Da qui il Parlamento Europeo ha richiesto alla Commissione Ue azioni pesanti nel caso in cui venisse accertato il coinvolgimento delle autorità nei brogli elettorali, tra cui la “sospensione dei finanziamenti dell’Ue sulla base di gravi violazioni dello Stato di diritto” e, implicitamente, un possibile stop ai negoziati di adesione. La premier uscente Brnabić ha poi chiuso la porta a un’indagine internazionale, “perché richiederebbe l’annullamento della sovranità nazionale”, ma a Bruxelles rimangono ancora grosse preoccupazioni sulle irregolarità alle urne e la mancanza di completa trasparenza nel processo elettorale.
Mentre nel Consiglio dell’Ue regna l’immobilismo (dettato soprattutto dal potere di veto del premier ungherese, Viktor Orbán, su qualsiasi tipo di azione contro l’alleato Vučić), a Belgrado il 2 maggio si è insediato il nuovo governo guidato da Miloš Vučević, stretto alleato del presidente della Repubblica nonché leader del Partito Progressista Serbo dopo le dimissioni dello stesso Vučić lo scorso anno. Il nuovo esecutivo si è posto in perfetta linea di continuità con il precedente (l’ex-premier Brnabić oggi è speaker dell’Assemblea nazionale) in politica estera – sia per la strada verso l’adesione all’Ue sia per il mantenimento dei rapporti con Russia e Cina – ma anche nelle questioni considerate di politica interna (cioè il rapporto con il Kosovo, di cui non è mai stata riconosciuta l’indipendenza dal 2008). Tra i membri del gabinetto Vučević compaiono due figure particolarmente controverse, tanto da essere incluse nella lista delle persone sanzionate dagli Stati Uniti nell’ultimo anno: l’ex-capo dell’intelligence serba, Aleksandar Vulin, e il politico di lungo corso e proprietario di aziende con sede in Russia Nenad Popović.
Infine non va dimenticato il caso delle violenze subite dal leader del Partito Repubblicano di opposizione, Nikola Sandulović, prelevato dai servizi segreti serbi il 3 gennaio e duramente picchiato durante la detenzione per aver reso omaggio alla tomba di Adem Jashari, uno dei fondatori dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk). Membri dell’Agenzia serba per le informazioni sulla sicurezza (Bia) avrebbero sequestrato e torturato Sandulović, poi detenuto nella prigione centrale di Belgrado senza accesso a cure mediche indipendenti. Tra le persone responsabili per le violenze ci sarebbe anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska (il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo e controllato da vicino dal presidente Vučić) che tra l’altro ha già ammesso di aver organizzato l’attacco armato nel nord del Kosovo a fine settembre dello scorso anno. L’ex-capo dell’intelligence serba – ora membro del nuovo governo – Vulin aveva riferito di aver personalmente ordinato l’arresto di Sandulović, ma l’avvocato della difesa ha puntato il dito contro il presidente Vučić.
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