Roma – Si è chiusa con un 5 a 2 per Matteo Renzi la sfida delle elezioni regionali 2015. Ai candidati del Pd vanno la Toscana, dove è riconfermato il governatore uscente Enrico Rossi, l’Umbria, con la riconferma di Catiuscia Marini, le Marche, dove Luca Ceriscioli ha battuto il presidente uscente Gian Mario Spacca (ex Pd ma canditato per il terzo mandato con Forza Italia), la Puglia, con Michele Emiliano che succede al leader di Sel Nichi Vendola, e la Campania, con il discusso Vincenzo De Luca che strappa la guida della Regione all’ex governatore di centrodestra Stefano Caldoro. In Veneto si riconferma il leghista Luca Zaia, unico a superare il 50% delle preferenze, e in Liguria vince il consigliere politico di Berlusconi Giovanni Toti. Da registrare l’ulteriore avanzata dell’astensionismo: l’affluenza alle urne si attesta poco sopra il 50%, con un calo medio di circa il 10% rispetto al 2010.
Il premier e capo del Pd si è speso molto in campagna elettorale, e può festeggiare quella che il presidente del partito, Matteo Orfini, considera una “vittoria complessiva”. Tuttavia, il segretario dem non ha potuto festeggiare essendosi recato in Afganistan per una visita a sorpresa al contingente italiano. A bruciare non è tanto l’annunciata sconfitta in Veneto, dove Alessandra Moretti si era candidata rinunciando all’incarico di parlamentare europeo, quanto il risultato della Liguria con la battuta d’arresto causata dallo strappo con la minoranza Pd guidata dall’ormai fuoriuscito Pippo Civati.
E’ il vicesegretario del partito, Lorenzo Guerini, a sintetizzare ciò che è accaduto nella regione dove la candidata democratica Raffaella Paita avrebbe battuto Toti se avesse potuto contare anche su quel 9,4% di preferenze conquistate dal civatiano Luca Pastorino. “Perdiamo perché un pezzo del centrosinistra ha ritenuto” di presentare una lista alternativa “per ragioni che poco hanno a che fare con questioni territoriali”. Secondo Guerini, dietro la candidatura di Pastorino si cela “il desiderio di qualcuno di costruire nuovi equilibri politici”. E proprio questo è il punto: dopo questo sgambetto, cambierà la dialettica tra il governo e l’ala sinistra del principale partito di maggioranza? L’altro vicesegretario, Deborah Serracchiani, assicura di no. “Ci amareggia il risultato della Liguria”, ammette, ma in virtù del verdetto complessivo delle urne, sottolinea, “siamo ancora più determinati” a proseguire sulla stessa linea politica “fino al 2018”, la scadenza naturale della legislatura, “perché siamo intenzionati a portare avanti le riforme”.
Dalle consultazioni regionali, oltre alla vittoria del Pd, emerge una avanzata delle forze anti europeiste. Il Movimento 5 stelle non riesce a conquistare nessuna Regione, ma si attesta come secondo partito in Liguria, Marche, Umbria e Puglia. Per alcuni osservatori è il segno che il cambiamento di strategia comunicativa del movimento funziona. La scelta di non affidare al solo Beppe grillo la campagna elettorale, mandando sui territori i parlamentari pentastellati, oltre che facendoli partecipare ai dibattiti televisivi, ha garantito una rivincita rispetto ai deludenti risultati delle europee.
La lega di Matteo Salvini è però la vera sorpresa. Non tanto in Veneto, dove pure c’era un interrogativo legato alla lotta intestina seguita all’espulsione del sindaco di Verona Flavio Tosi dal Carroccio. La regione si conferma feudo leghista, con Zaia che supera di poco il 50% dei consensi nonostante l’11,7% conquistato da Tosi. Ma è nelle altre regioni che la campagna xenofoba e antieuropeista di Salvini ha mostrato di fare breccia, diventando il primo partito del centrodestra e sclalzando Forza italia. E’ successo ovunque tranne che in Campania e Puglia. In Liguria il risultato migliore (20,3%), ma il Carroccio è il secondo partito in Toscana (16,1%) e va in doppia cifra anche nelle Marche (13%) e in Umbria (14%).
Chi ha preso una batosta è Forza Italia. Il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, esulta per la vittoria di Toti – è la dimostrazione che “uniti si vince”, dice – e sottolinea il buon risultato del Carroccio. “Quattro anni di Lega all’opposizione hanno prodotto i risultati che si vedono”, indica. Un percorso che ha coinciso con una continua emorragia di consensi per il partito di Silvio Berlusconi, il quale si è attestato sotto il 10% in Toscana (8,5%), Umbria (8,5%), Marche (9,4%) e soprattutto in Veneto, con il minimo storico del 5,9%. In Campania il risultato migliore, senza tuttavia andare oltre il 18%.
Il dato più indicativo della disfatta proviene però dalla Puglia. La scissione portata avanti “per legittima difesa” dall’eurodeputato Raffaele Fitto relega Adriana Poli Bortone (14,6%), candidata forzista, in quarta posizione, distaccata di circa 4 punti da Francesco Schittulli (18,5%), il candidato fittiano che si è piazzato secondo. “Se avessimo usato più buon senso un mese fa sarebbe andata diversamente”, commenta Fitto, anche se in realtà la sommatoria dei due candidati non sarebbe bastata a prevalere su Emiliano.
Il verdetto delle urne non riserva particolari soddisfazioni neppure a sinistra del Pd. Si è detto della Liguria, dove le varie formazioni di sinistra unite si attestano poco sotto al 10%. È il risultato migliore. La stessa alleanza – ma senza clamorose scissioni dem e con alcune piccole variazioni di sigle – si è presentata in Toscana (6,3%), nelle Marche (3,9%) e in Campania (2,3%). Nel resto delle regioni ha prevalso ancora una logica di separazione, con Sel che ha scelto di presentarsi con il Pd. Se appare lusinghiero il risultato pugliese, dove Vendola è governatore uscente e il partito raggiunge il 6,6% (per altro non con il proprio simbolo), va decisamente peggio in Umbria e Veneto con il partito al di sotto del 3%. Nelle stesse regioni, le altre formazioni di sinistra coalizzate superano a fatica l’1%.