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    Home » Editoriali » La legacy di Obama, la delivery di Renzi, e un problema da risolvere

    La legacy di Obama, la delivery di Renzi, e un problema da risolvere

    Virgilio Chelli di Virgilio Chelli
    1 Giugno 2015
    in Editoriali
    Renzi e Obama

    Obama e Renzi hanno un problema in comune. Il problema si chiama giudici. Il presidente americano e il premier italiano si trovano in fasi molto diverse delle rispettive parabole politiche. Obama è in uscita tra poco più di un anno e la sua principale preoccupazione è quella della legacy, come si chiama in inglese, l’eredità politica e morale lasciata da uno statista, per capirci quello che sarà scritto sui libri di storia. Il capitolo più importante è sicuramente Obamacare, la riforma del sistema di assistenza sanitaria che è stato un pilastro della sua presidenza, ma poi anche la nuova politica dell’immigrazione, i matrimoni gay e la lotta al cambiamento climatico. Quattro capitoli che rischiano di essere riscritti, se non cancellati, da tribunali americani di diverso livello. Se così fosse Obama verrebbe ricordato per aver sdoganato Raul Castro. Un po’ pochino. Con una legacy così striminzita le quotazioni come star speaker, una volta lasciata la Casa Bianca, potrebbero ridursi a spiccioli rispetto a quello che riesce a portare a casa Bill Clinton.

    Amber Phillips, una blogger della Washington Post, si è divertita a fare la lista dei casi pendenti che minacciano la legacy obamiana. L’ultimo colpo è arrivato la settimana scorsa, quando una corte federale di New Orleans ha bloccato il rinvio della deportazione per milioni di migranti senza documenti, che era stato ordinato dall’esecutivo. Contro le decisioni esecutive di Obama sull’immigrazione si sono rivolti ai tribunali il Texas e altri 25 stati, e le cause che seguiranno difficilmente saranno chiuse entro gennaio del 2017, quando Obama lascerà la Casa Bianca. Matrimoni gay: il presidente è favorevole e ha ordinato a tutte le agenzie federali di riconoscere i diritti delle coppie gay sposate. Ma il mese prossimo la Corte Suprema dovrà dire se gli Stati che vietano i matrimoni gay violino i diritti costituzionali di queste coppie. E arriviamo al piatto forte, Obamacare, la riforma sanitaria già sopravvissuta nel 2012 a una sentenza della Corte Suprema, che ora però deve decidere se i sussidi federali per far accedere all’assicurazione sanitaria le famiglie a basso reddito siano erogabili in tutti gli stati o solo nei 16 che hanno offerto online le polizze. In ballo ci sono sovvenzioni per 8 milioni di famiglie in 36 stati. Infine il cambiamento climatico, con Obama che chiede di agire per evitare un disastro. Anche qui è in ballo la Corte Suprema che a breve, entro giugno, dovrà dire se le misure dell’amministrazione per ridurre le emissioni di gas serra siano o meno costituzionali.

    Da Washington a Roma, dove Renzi non ha ancora il problema della legacy, ma ha quello della delivery, vale a dire della realizzazione delle riforme promesse. Alcune sono già legge, come la riforma elettorale, mentre altre stanno cominciando a funzionare, come il Jobs Act e la riforma delle banche popolari. Obiettivo delle riforme è far ripartire l’economia e garantire a chi vince le elezioni i poteri per governare. Ma cosa succede se una riforma funziona, raggiunge i suoi obiettivi, come ad esempio una riduzione della spesa pubblica, e poi a distanza di anni arriva una sentenza che smantella tutto e apre una voragine nei conti dello stato? E’ vero che il blocco della rivalutazione delle pensioni è stata una misura presa dal governo Monti nel 2011. Ma la recente decisione della Corte Costituzionale sembra più un segnale inviato all’attuale inquilino di Palazzo Chigi per ricordargli chi in Italia comanda davvero. Il potere vero è nelle corti di più alto grado, nei Tar, nel Consiglio di Stato, che hanno capacità di interdizione e di veto senza uguali in altri paesi. Una volta Romano Prodi ha scritto che se abolissimo i Tar da un giorno all’altro l’Italia guadagnerebbe di un colpo diversi punti di Pil. Immaginiamo uno scenario da incubo: siamo nella primavera del 2018, il paese si avvia ad andare a votare dopo tre anni di Jobs Act che ha creato milioni di posti di lavoro e fatto ripartire l’economia. A un mese dal voto arriva una sentenza che dice che le “tutele crescenti” introdotte dalla riforma sono incostituzionali, delegittimando il governo e aprendo la strada a contenziosi miliardari. Ci possiamo permettere un sistema esposto a questo tipo di rischi? Andare a toccare la giustizia dopo il ventennio berlusconiano potrebbe sembrare poco consigliabile. Ma forse Renzi dovrebbe aggiungere alla lista delle cose da fare anche un ribilanciamento tra i poteri dello stato. Tutto sommato qui non si tratta di decidere se Ruby fosse o no la nipote di Mubarak.

    Tags: Obamarenzi

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