Bruxelles – Il rischio che tra i disperati in arrivo in Italia sui barconi si nascondano anche terroristi “esiste”. Non si tratta solo di una possibilità, ma di un fenomeno di cui già c’è “un esempio concreto”: quello del “terrorista arrestato in Italia che ha partecipato all’attentato al Museo del Bardo”. Mentre in Italia ancora si fanno accertamenti per verificare se il giovane marocchino fermato sia effettivamente coinvolto nell’attacco terroristico in Tunisia, a non avere dubbi è il primo ministro del Paese, Habib Essid che a Bruxelles interviene davanti al Parlamento europeo. Il giovane fermato in Italia, sostiene, “è partito dalla Tunisia, verso la Libia” dove si è imbarcato e così stava per fare “il quarto terrorista che ha partecipato all’attentato, arrestato l’altro ieri”, anche lui, fa notare il capo del governo tunisino, “veniva dalla Libia” e si sarebbe quindi potuto imbarcare verso il nostro Paese. Insomma, secondo il capo del governo tunisino, “esiste il rischio che i terroristi cerchino di mischiarsi tra i migranti e bisogna essere molto attenti” e fare in modo che “i migranti non lascino il loro Paese”.
Eppure la strada giusta per tentare di fermare quest’ondata migratoria, è anche convinto Essid, non è l’intervento militare contro gli scafisti immaginato dall’Unione europea. “Ci opponiamo – dice – a tutte le azioni militari, sia per risolvere un conflitto politico sia per risolvere un problema di immigrazione”. “La Tunisia – dice – ha sempre avuto una posizione chiara: crediamo che un intervento militare per risolvere un problema che si può risolvere con lo sviluppo e la prevenzione non sia la strada giusta”. Un modello di come si può risolvere il problema immigrazione, secondo il premier tunisino, si può trovare nell’accordo stipulato da Tunisi con l’Italia nel 2011, dopo la primavera araba. Allora, racconta Essid, “è stato stipulato un accordo che si applica ancora oggi per identificare sul posto i migranti e rimpatriarli”. Un sistema che “si applica ancora oggi” e che “ha funzionato finora: nel 2014, 1.200 tunisini hanno tentato di emigrare verso l’Italia e 1.150 sono stati rimpatriati”. Insomma la cosa migliore è “identificare soluzioni in loco, fare sì che le persone trovino posti di lavoro e possano sviluppare progetti nel loro Paese, creando le condizioni perché i cittadini rimangano nel loro Paese e non decidano di lasciarlo”.