Il Belgio celebra quest’anno il centenario del surrealismo con una mostra al Bozar di Buxelles che mette insieme opere dei grandi nomi del movimento nato in Francia e presto dilagato oltreconfine. Ma pochi sanno che la vera patria del surrealismo, la nazione dove fu al potere e non solo in senso figurato non è né il Belgio, né la Francia, ma la Jugoslavia di Tito. Fra il 1950 e il 1980 almeno 4 esimi surrealisti occuparono posizioni di potere nell’establishment jugoslavo.
Il primo è Oskar Davičo, emigrato a Parigi nel 1926 per studiare lingue romanze, fece il cameriere, il calzolaio, il fattorino e l’allenatore di boxe senza passare un solo esame ma tornato in patria si laureò con il massimo dei voti. Insegnante di francese, aderì al Partito comunista, fu arrestato e condannato a 5 anni di prigione. Rilasciato, scrisse poemi che furono notati da Miroslav Krleža e poi pubblicati nella raccolta “Višnja za zidom” (Il ciliegio oltre il recinto, 1950). Con lo scoppio della guerra, passò nella clandestinità. Fu arrestato ma riuscì a fuggire e a tornare in Jugoslavia dove combatté coi partigiani e ne diresse l’ufficio stampa. Si distinse anche scrivendo un’Ode alla polizia segreta. Dopo la guerra lavorò all’agenzia Tanjug, poi a Borba, il giornale del partito, per cui seguì il Processo di Norimberga. Fu a Trieste al tempo del TLT e reporter nella guerra civile greca. Di ritorno in patria si dedicò alla scrittura e vinse per ben tre volte il Premio NIN.
Anche Marko Ristić comincia a Parigi la sua avventura partecipando con André Breton alla redazione del Manifesto surrealista, che tradusse in serbocroato, fondando a Belgrado un gruppo surrealista. Collaborò a varie riviste fra cui “Danas” fondata da Miroslav Krleža, dove pubblicò il saggio “Il significato morale e sociale della poesia”, in cui sostiene la natura rivoluzionaria della vera poesia. Nel 1939 si attirò le ire di Tito che lo accusò di essere “amico intimo del trotskista parigino e borghese degenerato André Breton” e di voler contaminare il marxismo con il surrealismo. Ma si riscattò unendosi alla resistenza contro l’occupazione nazifascista. Fu arrestato nel 1942 e internato a Kruševac da dove continuò a scrivere articoli clandestini. Nel Dopoguerra Ristić fu ambasciatore in Francia e di ritorno in Jugoslavia, fu presidente della Commissione nazionale jugoslava dell’UNESCO.
Il rampollo di famiglia borghese Koča Popović era destinato a una carriera militare ma lasciò l’Accademia di Sarajevo per Parigi dove aderì al movimento surrealista. Ben presto entrò in contatto con i comunisti jugoslavi e combatté nella guerra civile spagnola. Rientrato in patria, si arruolò nell’esercito reale jugoslavo e dopo la disfatta integrò le brigate di Tito partecipando in posizioni di comando alle più importanti battaglie della guerra di liberazione, fra cui la famosa Neretva. Dopo la guerra Popović fu fra i fondatori del Fudbalski klub Partizan di Belgrado. Fu capo di stato maggiore dal 1945 al 1953 e fu Ministro degli affari esteri dal 1953 al 1965. Dal 1965 al 1972 fu membro del Consiglio esecutivo federale e vicepresidente della Jugoslavia dal 1966 al 1967.
Dušan Matić seguì l’armata serba nella sua ritirata del 1915 e da Durazzo riuscì a raggiungere Parigi. Alla Sorbona entrò presto in contatto con Ristić e Davičo e aderì al movimento surrealista. Insieme pubblicheranno il primo almanacco surrealista jugoslavo in esilio: Nemoguće (L’impossibile). Tornato in patria negli anni Trenta, Matić pubblicò il libro “Posizione del surrealismo nel processo sociale” ma si attirò i sospetti della polizia per i suoi legami con Davičo e i suoi scritti furono messi al bando. Allo scoppio della guerra fu arrestato dagli ustascia e internato nel campo di concentramento di Banjica da dove cercò di invano di evadere per raggiungere i partigiani. Per non essere da meno del suo sodale Davičo, scrisse un Inno all’Armata Rossa. Nel Dopoguerra entrò a Radio Belgrado, divenne decano della Facoltà di arti drammatiche e membro del Consiglio della Cultura e delle Arti. Fu traduttore di Balzac, di Flaubert e di Beckett e direttore di varie riviste letterarie.
È vero che il Surrealismo fin dall’inizio si definisce come movimento sociale e politico, non solamente artistico. André Breton al primo Congresso degli scrittori per la difesa della cultura afferma: “Marx ha detto ‘Cambiare il mondo’, Rimbaud ha detto ‘Cambiare la vita’: queste due parole d’ordine per noi si fondono in una soltanto.” Difficile dire quanto il surrealismo abbia mantenuto delle sue promesse. Certo è che l’unico paese dove veramente il surrealismo fu al potere oggi non esiste più.