Bruxelles – Pochi laureati, troppi abbandoni scolastici, un tasso di popolazione a rischio povertà o esclusione sociale “critico”, e misure governative che non aiutano. L’Italia fa fatica, e l’analisi specifica sulla convergenza sociale del Paese prodotta dalla Commissione europea non fa che certificare, nero su bianco, i limiti della terza economia dell’eurozona, caratterizzata da tanti cittadini poveri, precari e ignoranti. Dall’istruzione al mercato del lavoro, passando per la mai risolta questione meridionale, l’Italia sembra aver fatto poco o niente per correggere la rotta. Anzi. Il dato che emerge è un deterioramento della situazione a causa di scelte politiche su cui l’Ue accende i riflettori e chiede interventi.
- Troppi contratti atipici e salari bloccati che incidono negativamente sul reddito
La Commissione rileva innanzitutto che “a partire dagli anni ’90, il mercato del lavoro italiano ha registrato un forte aumento dei contratti atipici”, con una diminuzione del numero di settimane lavorate all’anno . Nonostante miglioramenti limitati nel 2023, “la quota di contratti a tempo determinato rimane tra le più alte nell’Ue“. Non è una novità che l‘Italia sia la patria del popolo delle partite Iva, ma questi usi e costumi hanno un costo sociale. “L’elevata incidenza di forme di lavoro non standard (compreso il lavoro stagionale) ha portato a un calo del numero di settimane lavorate all’anno e contribuisce a un’elevata disuguaglianza e volatilità delle retribuzioni annuali“, denuncia l’analisi prodotta a Bruxelles.
Non solo. questo mercato del lavoro “ha anche conseguenze negative sull’accumulazione di capitale umano specifico dell’impresa nonché sulla copertura dei lavoratori dipendenti da parte della protezione sociale e del suo finanziamento”. Perché, si sottolinea, i contratti atipici “generano disparità de-facto” in termini di protezione sociale.
C’è poi la questione salariale. “Tra il 2013 e il 2022, la crescita dei salari nominali per occupato è stata del 12 per cento, metà della crescita a livello dell’UE (23 per cento)”. Risultato: mentre nell’Ue il poter d’acquisto è aumentato del 2,5 per cento, in Italia si è ridotto del 2 per cento. Sommando questi fattori, la Commissione non ha dubbi sul fatto che “la stagnazione salariale, la bassa intensità di lavoro, insieme a un’elevata percentuale di famiglie monoreddito, comportano rischi significativi di povertà lavorativa“. Lo mostrano i dati, del resto: nel 2022, il tasso di rischio di povertà dell’Italia per le persone che lavorano “è tra i più alti dell’Ue (11,5 per cento contro 8,5 per cento)”.
- Il reddito di cittadinanza un aiuto, la riforma Meloni aumenta la povertà
Di fronte a una situazione non nuova e comunque dilagante, il primo governo Conte aveva provato a correre ai riparti con l’introduzione del Reddito di cittadinanza. Una misura considerata all’epoca dall’esecutivo comunitario in maniera mista, vale a dire un voce di aumento della spesa pubblica ma dai potenziali ritorni di medio-lungo periodo in termini di aumento dei consumi. L’avvento del governo Meloni ha prodotto una riforma che riduce l’accesso al sostegno, in modo peggiorativo però. “Si prevede che l’Assegno di Inclusione comporti una maggiore incidenza della povertà assoluta e infantile (rispettivamente di 0,8 punti percentuali e 0,5 punti percentuali) rispetto al regime precedente”. Una bocciatura per l’attuale maggioranza.
- Pochi laureati, troppi abbandoni scolastici
La Commissione rileva due elementi di critici ulteriori. Da una parte il livello di istruzione terziaria (lauree) tra i più bassi nell’Ue (29,2 per cento rispetto alla media dell’Unione europea del 42 per cento), dall’altra parte l’abbandono scolastico precoce che “rimane un problema significativo”. Pochi giovani con conoscenze e competenze di rilievo e molti giovani che addirittura non fanno niente, né studiano né lavorano né ancora fanno formazione (Neet), “con effetti negativi sui loro percorsi professionali e sulle future capacità di guadagno” e le ricadute negative del caso sulla competitività del sistema Paese.
- Mezzogiorno, ancora tanta strada da fare
Tutto questo è vero soprattutto al sud. E’ qui che si registra in modo evidente quanto registrato dalla Commissione europea. “Delle dieci regioni dell’Ue con i tassi di Neet più elevati, quattro si trovano nel Sud Italia (Sicilia, Campania, Calabria, Puglia)”. Inoltre tre regioni del Sud Italia (Campania, Sicilia, Calabria) sono tra le 10 regioni dell’Ue con i tassi di povertà monetaria più alti. Ne deriva che “i bambini e le persone che vivono nel Sud sono maggiormente a rischio di povertà o esclusione sociale”.