Roma – Sono diversi anni, decenni ormai, che i collaboratori parlamentari italiani sono stufi di lavorare nell’incertezza e con forme contrattuali stabilite in modo arbitrario dai deputati e senatori che si avvalgono del loro operato. Addirittura, stando a denunce che per forza di cose rimangono anonime, questi rapporti di lavoro verrebbero talvolta sfruttati da alcuni parlamentari per intascarsi in nero una parte degli importi che ufficialmente versano al proprio assistente, e che tornerebbe indietro in contanti e senza lasciare tracce.
Per l’Aicp (Associazione italiana assistenti parlamentari) è giunto il momento di porre fine a tali pratiche e per questo si chiede al Parlamento italiano di adottare “una disciplina organica e trasparente della figura del collaboratore parlamentare ispirata al modello Europeo, per garantire la qualità e la correttezza del rapporto di lavoro”. Con questa finalità presenteranno, in una conferenza stampa a Montecitorio, la loro piattaforma di proposte perché si giunga “entro questa legislatura” all’approvazione di una normativa in materia.
I punti critici denunciati dall’Aicp sono riassunti in una tabella in cui l’associazione mette a confronto il sistema italiano con quello del Parlamento europeo e quelli adottati in Francia e Regno unito. Al contrario dei loro colleghi europei, gli assistenti italiani non sono una figura professionale riconosciuta e non hanno una disciplina di riferimento che definisca le forme contrattuali dei loro rapporti di lavoro. Allo stesso modo, sono indefinite le mansioni che sono tenuti a svolgere. L’onere della loro retribuzione è affidata non all’istituzione ma al singolo parlamentare – che ha piena libertà di stabilire anche l’importo – al quale viene assegnata dal Parlamento una cifra da spendere per i collaboratori, senza però un vincolo che lo obblighi a destinare effettivamente agli assistenti la somma ricevuta.