Bruxelles – Non fare troppo rumore, evitare di aprire nuovi possibili fronti di tensione con Mosca in un momento in cui le relazioni tra Russia ed Unione europea sembrano lentamente cominciare il cammino verso la normalità. Sembra aleggiare soprattutto questa preoccupazione intorno vertice del partenariato orientale che si terrà a Riga domani e dopodomani. Alla vigilia del quarto incontro tra i leader dell’Ue e i rappresentanti di Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina, tutto lascia prevedere che la riunione porterà pochi passi concreti e dichiarazioni d’intenti fiacche, molto più che in passato. Alla fine dell’ultimo summit, svoltosi a Vilnius nel 2013, era stata sottoscritta una dichiarazione secondo cui i Paesi Ue “riaffermavano il riconoscimento delle aspirazioni europee e la scelta europea” di alcuni partner orientali e si impegnavano a “sostenere coloro che cercano una relazione sempre più stretta con l’Unione europea”. Ben più “soft” dovrebbe essere la dichiarazione finale di Riga: secondo la bozza in circolazione, i leader si limiteranno a ricordare che ogni Stato è unico titolare della sua politica estera “riaffermando il diritto sovrano di ogni partner a scegliere liberamente il livello di ambizione e gli obiettivi a cui vuole aspirare in relazione all’Unione europea”. Si sa che la Commissione Juncker è contraria ad ulteriori allargamenti nei prossimi cinque anni, ma di certo non si tratta di un incoraggiamento alle ambizioni di Paesi che, come nel caso dell’Ucraina, stanno affrontando pesantissime conseguenze per la ricerca di una prospettiva europea.
Anche dal punto di vista pratico sembra che i risultati saranno scarsi, in particolare sulla liberalizzazione dei visti con Ucraina e Georgia. Sebbene Kiev spinga per una conferma dell’introduzione di un regime senza visti già nel 2016, le conclusioni del vertice dovrebbero limitarsi a sottolineare che l’Ue “auspica un completamento da parte di Ucraina e Georgia dell’attuazione della seconda fase del piano di liberalizzazione dei visti”. Un impegno vago che non ha mancato di suscitare i primi malcontenti. “Se non riusciamo a fare progressi su temi come la liberalizzazione dei visti – ha lamentato il presidente georgiano Giorgi Margvelashvili – passa l’assurda logica che rendere più facile per un turista georgiano visitare Parigi è una minaccia per la Russia”. I leader europei, ha detto Margvelashvili in un’intervista all’agenzia francese France Presse, “mi hanno dato una chiara assicurazione che non c’è un veto informale della Russia sulla libera scelta della Georgia di essere parte dell’Europa” ma “sfortunatamente Mosca, con l’aggressione contro l’Ucraina, è riuscita a intaccare temporaneamente il programma Partenariato orientale, spostandolo verso un confronto”.
I delusi dovrebbero leggere il rapporto realizzato poche settimane fa dalla Commissione sul piano d’azione per la liberalizzazione dei visti, commentano fonti europee secondo cui “nei diversi punti ci sono molte tappe legislative, di messa in opera concreta che non sono ancora state raggiunte”. Si tratta dunque “di una questione tecnica, non politica” e “servono più sforzi dai Paesi in questione” e cioè Georgia e Ucraina.
Difficile comunque non immaginare che anche la Russia abbia un peso in questa linea cauta dell’Europa nei confronti dei partner orientali, specialmente dopo che il summit di Vilnius sul partenariato orientale del 2013 ebbe un ruolo chiave nell’esplosione della crisi ucraina: fu allora che l’allora presidente ucraino, Viktor Yanukovic si tirò indietro dalla firma dell’accordo di associazione con l’Unione europea facendo esplodere le prime proteste di piazza.
Una dichiarazione finale debole come tutto oggi lascia immaginare “sarebbe un passo indietro visto che da quanto il Partenariato orientale è stato lanciato” nel 2009, “ogni summit ha prodotto una dichiarazione sempre più ambiziosa”, fa notare Amanda Paul, analista dello European Policy Center di Bruxelles. Almeno teoricamente la dichiarazione può ancora essere rafforzata nel corso del vertice ma, fa notare Paul, è difficile che questo avvenga. Da un lato “alcuni Stati membri – spiega – credono che l’Unione europea dovrebbe aspettare e vedere come si sviluppa il conflitto tra Ucraina e separatisti filorussi prima di fare passi per rafforzare i rapporti con i partner orientali. Non vogliono fare nulla che possa provocare la Russia o creare ulteriore agitazione”. Non solo. “C’è anche una resistenza da parte dei partner orientali, in particolare quelli che sono parte dell’Unione eurasiatica guidata dalla Russia” (Bielorussia, Kazakistan e Armenia): “Per ridurre il rischio di ulteriori tensioni con Mosca – continua Paul – c’è una chiara preferenza per uno statement debole, privo di parole forti”. Ma dietro ad un vertice dai risultati deboli si nasconde un pericolo non da poco: se il testo non sarà rafforzato, fa notare l’analista, “c’è un rischio reale che la dichiarazione di Riga sia percepita come più favorevole a Mosca che a quei partner orientali impegnati nelle riforme” e “una dichiarazione debole potrà essere usata da Mosca per minare la credibilità europea”.