In Europa ci lamentiamo dell’inefficacia e lentezza delle nostre democrazie, della loro incapacità di adeguarsi rapidamente al mondo che cambia. Non ci accorgiamo della pesantezza del loro sistema di potere che deve attraversare mille controlli prima di agire. Controlli che sembrano avere più la funzione di intimorire che controllare e che mettono ormai ogni politico sotto tutela, obbligandolo a rendere conto di ogni suo minimo atto, per non parlare di ogni euro speso. Cinquant’anni fa l’azione dei governi veniva criticata spesso con maggiore asprezza nelle proteste e negli scioperi che allora potevano trascinare masse e paralizzare per giorni un paese. Ma raramente le gesticolazioni dell’opinione pubblica potevano bloccare l’azione politica. L’opinione pubblica semplicemente non esisteva. L’azione di ogni individuo che volesse fare politica si convogliava nelle associazioni, nei partiti, nei sindacati. Era incanalata in un sistema, sicuramente gerarchico, ma che filtrava allo stesso modo scontento e entusiasmo distillandone un impegno concreto, vincolato al reale.
Dal popolo dei fax in poi, fino all’attuale popolo di facebook è emerso un nuovo attore della vita politica che non ha testa e non ha volontà, agisce di pancia e di collera, inneggia e affossa come il tifo di una curva, non ha nessuna legittimità, eppure ha la forza di condizionare l’agire di un governo. In questo modo non c’è più visione nel tempo dell’azione politica e governare è un incessante parare il colpo. Qualcuno ha il coraggio di chiamare questo fenomeno democrazia diretta. Non ci si accorge che questo è invece l’inizio della fine della democrazia. Non può essere credibile un sistema politico che si muove a seconda dei sondaggi e dell’umore di popolo e che è incapace di programmare nel lungo termine. Lo statista vero deve pensare alle prossime generazioni, non alle prossime elezioni. Ma la dittatura dell’opinione pubblica non si è insediata da sola. Ha un potente alleato in un sistema di informazione fuori controllo, che non ha ormai più nulla a che fare con l’informazione, ma vende sensazione e scandalo in cambio di entrate pubblicitarie. I telegiornali non sono più notizia, sono diventati anche loro un serial il cui leitmotiv è la cronaca nera. Tutto è ormai presentato come cronaca nera, anche i cinque minuti di politica estera rimasti. Imperversa un racconto in chiave manicheista di ogni notizia, dove c’è il bene e il male che si scontrano. Come va a finire lo si saprà domani sera. O forse dopodomani. O forse non se ne parlerà più e poco importa: l’opinione pubblica, col suo razzismo, la sua ignoranza, la sua superficialità, la sua violenza, è stata bene attizzata e darà i suoi frutti di populismo, anche senza elezioni. Tanto a cosa servono ormai?
L’opinione pubblica ci arriva con il 40% che il giorno prima non sa ancora cosa voterà. Segno che per lei è tutto uguale, che di fatto non ha opinione. E allora diventa vero quello che dice lo studioso americano Daniel A. Bell, che il sistema politico dove un uomo vale un voto è finito, perché non può essere uguale al mio il voto di chi non ha cognizione seria delle questioni su cui è chiamato ad esprimersi. Pretendiamo la patente per chi guida, perché al volante di un’automobile si può anche uccidere. Perché non pretendiamo la patente dall’elettore? Anche con un voto si può uccidere. E questa non è una battuta.