Bruxelles – “Ho scritto una lettera al capogruppo del Ppe per spiegare che esco e ho mandato una richiesta di adesione al capogruppo dei conservatori europei”, l’europarlamentare Raffaele Fitto annuncia così la decisione di lasciare Forza Italia e il Partito popolare europeo. Il conflitto che per mesi lo ha visto contrapporsi a Silvio Berlusconi, del quale ha criticato la scelta del dialogo con il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, alla fine si è concluso con l’ennesimo esodo da Forza Italia, che il politico pugliese ha definito “un capitolo chiuso”.
Fitto vede “uno spazio enorme” tra il leader della Lega Matteo Salvini e il Pd renziano. Un terreno che, a suo avviso, può essere occupato da una forza della destra moderata che, in campo europeo, si collochi “né con Merkel né con Le Pen”. Per questo l’ex delfino di Silvio Berlusconi ha deciso di uscire dal gruppo dei Popolari europei e di aderire a quello dei Conservatori riformisti (Ecr), presieduti dal britannico Syed Kamall.
“Ci hanno tolto un peso”, ha dichiarato Berlusconi commentando l’addio fittiano. Ma è un altro pezzo di partito che se ne va, dopo Alfano e gli ex An che hanno fondato Fratelli d’Italia. Una emorragia che potrebbe anche proseguire, dal momento che pure la fronda guidata dall’ex coordinatore nazionale Denis Verdini, desiderosa di resuscitare il Patto del Nazareno con Renzi, è in rotta di collisione con la leadership.
Ecco di seguito la lettera inviata da Fitto al presidente del gruppo del Ppe Manfred Weber:
Caro Presidente,
ti scrivo per comunicarti la mia decisione di lasciare il Gruppo del PPE, mentre ho formulato domanda di adesione al Gruppo ECR dei Conservatori e Riformisti Europei.
Ovviamente, la stima e il rispetto personale nei tuoi confronti non sono stati, non sono e non saranno mai in discussione.
Da molto tempo, però (ne sono prova le mie pubbliche dichiarazioni e le lunghe e articolate riflessioni svolte con tanti colleghi), manifesto il mio dissenso su alcuni punti politici fondamentali.
Non condivido la scelta di una pressoché sistematica unità d’azione (e mi pare sempre più di unità politica, quasi senza eccezioni) tra PPE e PSE.
Non condivido la scelta di difendere – al di là delle parole e degli annunci roboanti, a cui quasi mai seguono fatti conseguenti – un regime di austerità e una “gabbia” di regole che mi paiono orientati a soffocare la crescita, anziché a favorirla e irrobustirla.
La mia opinione è che, per salvare e rilanciare i grandi ideali e la grande speranza europea, che oggi appare appannata (o peggio…) agli occhi di tanta parte dell’opinione pubblica, PPE e PSE stiano andando in direzione sbagliata.
Non si tratta – come purtroppo accade – di difendere l’esistente come se fosse un impianto “intoccabile”, ma occorre semmai avere la visione l’ambizione di ridiscutere i Trattati.
Ad esempio, come alcuni di noi dicono da tempo, cogliendo la suggestione e il percorso indicato da sinceri europeisti come gli ex ministri italiani Giuseppe Guarino e Paolo Savona, occorre mettere in campo la contestazione giuridica, non solo politica, del Fiscal Compact.
Il Fiscal Compact sopprime infatti la sovranità fiscale degli Stati firmatari, in violazione del Trattato di Lisbona al quale pure si richiama. È probabile che il Fiscal Compact sia stato una scorciatoia, visto che l’unanimità tra i 27 Paesi membri necessaria a modificare il Trattato di Lisbona non sarebbe mai stata raggiunta. Fatto sta che questo Trattato rimane illegale. Non ha la forza costituzionale per modificare il Trattato di Lisbona.
Venendo all’Italia, in particolare, è ormai chiaro a tutti che senza una crescita economica robusta non può esserci nemmeno un vero risanamento dei conti pubblici, cioè il rientro da deficit e debito che l’Europa ci chiede.
Ormai tutti riconoscono che è la scarsa crescita ad ostacolare il percorso di risanamento, e che l’austerità non solo non è bastata, ma si è rivelata controproducente. Il rischio di inseguire gli obiettivi di bilancio a colpi di tasse e manovre meramente ragionieristiche, senza riforme né una vera politica economica, è quello di avvitarsi in una spirale recessiva senza fine e, quindi, verso il declino.
Per questo è urgente una decisa inversione di rotta, e che tale inversione sia riconoscibile da parte degli attori economici sia italiani che esteri. L’unica ricetta che può funzionare è meno tasse e meno spesa pubblica, a mio avviso.
Ma, ben al di là delle specifiche vicende italiane, è chiaro che occorre avere un progetto grande, a livello europeo: rinegoziare i Trattati, ripensare le fondamenta stesse dell’Unione, facendo tesoro degli errori commessi.
Se gran parte dell’opinione pubblica europea pensa che a Bruxelles si stia alimentando un Leviatano fiscale e burocratico, non possiamo solo alzare le spalle e fingere che il problema non esista.
La leadership dei Conservatori e l’azione politica di David Cameron offrono dunque una grande opportunità a tutta l’Europa (e non solo alla Gran Bretagna, i cui interessi sono ovviamente difesi dal Governo di Londra): tutti i Paesi e l’Unione nel suo insieme avranno un’occasione per ripensarsi su basi più adeguate alle attese e alle speranze di milioni e milioni di donne e uomini europei.
Guai alla nostra generazione, se invece resteremo chiusi e piegati sulla realtà esistente: porteremo la responsabilità, in questo caso, di aver trasformato in “incubo” il grande sogno europeo concepito dai nostri nonni e dai nostri padri, e lasceremo spazio a formazioni estremiste, dedite solo a distruggere, senza alcuna volontà di costruzione.