Il Consiglio europeo cerca un difficile accordo sul budget dell’Ue per il periodo 2014-2020
In gioco c’è molto più dell’Erasmus, si tratta di una battaglia tra chi vuole un’Europa forte e chi no
E’ un’Unione europea che litiga un po’ su tutto quella che tra questa sera a cena e domani dovrebbe trovare un accordo su uno dei negoziati tradizionalmente più difficili: il bilancio pluriennale (ora siamo al settennio 2014-2020). E quasi nessuno crede che sia possibile. I più ottimisti dicono che “non si sa quando finirà”, intendendo che c’è una possibilità di accordarsi entro domenica, gli altri, come anche la cancelliera Angela Merkel, già stanno organizzando un viaggio a Bruxelles per febbraio prossimo. Qualche diplomatico che tiene al decoro dell’Ue spera che “se si capisce che l’accordo non c’è si abbia il buon gusto di chiudere Giovedì sera stesso, senza dilanianti nottate”.
Come quella di ieri, che dopo dodici ore di incontro dei Ministri delle Finanze dell’euro che si erano visti il pomeriggio di martedì alle 16, alle 4,30 di mercoledì si sono lasciati ammettendo di non esser stati capaci di trovare un accordo sulla Grecia, né sui 44 miliardi della nuova tranche di aiuti né sulla proroga di due anni, dal 2020 al 2022 per portare il debito sotto il 120% del Pil. Questo non l’ha voluto l’Fmi, mai tenero verso i paesi in difficoltà, ma che questa volta proprio non si fida di Atene; sarà anche per via di quella lista di possibili evasori fiscali che il direttore del Fondo Christine Lagarde fornì al governo ellenico quando era ancora ministro delle Finanze in Francia. Sono passati oltre due anni e tre governi: nulla è stato fatto per indagare su queste persone e contro l’evasione fiscale. Anzi, si era anche “persa” la lista, richiesta a Parigi un mese fa sotto le pressioni della stampa. Qualche motivo di prudenza c’è. Gli altri sedici della moneta unica erano d’accordo sulla proroga, ed hanno scritto, in un brevissimo comunicato, che Atene sa facendo tutto il proprio dovere. Ma hanno litigato su dove prendere i soldi. “Niente danaro fresco”, ha tuonato la ministra austriaca. Dunque bisognerebbe giocare sui rimborsi del debito o altri trucchi contabili. Se ne riparlerà lunedì 26, praticamente l’ultima data utile per consentire ai greci di ricevere i loro salari e le pensioni, e agli ospedali di funzionare. Secondo Merkel sarà “possibile avere un accordo” anche se si dovrà aspettare ancora. “Non è drammatico” dicono i diplomatici a Bruxelles. Però potrebbe diventarlo.
Dopo una giornata di incontri bilaterali tra il presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy e i capi di governo dei Ventotto, visto che l’anno prossimo a luglio la Croazia entrerà nell’Unione (Mario Monti sarà ricevuto verso le 16) questa sera a cena si aprirà il negoziato sul bilancio pluriennale, in un vertice straordinario convocato proprio per questo. Quando si fece l’accordo per il 2007-2013 l’allora premier Britannico Tony Blair disse che il negoziato fu “più duro di quello per l’Irlanda del Nord”. La Commissione questa volta ha proposta circa 1.050 miliardi (in sette anni, divisi tra i ventotto). Si tratta di circa l’1% della ricchezza prodotta nell’Ue ogni anno. Molti dei soldi, alle volte di più, poi tornano agli Stati sotto forma di aiuti per le regioni più povere, per l’arte, l’istruzione, per le infrastrutture, eccetera. In molti non credono all’utilità dello “spendere insieme” e vorrebbero tagli di varie misure. Si parte dai 200 miliardi che chiede Londra fino ai 135 che vorrebbero cancellare i danesi. C’è poi chi, come l’Italia, vorrebbe non essere più un largo contributore “netto”, uno di quegli Stati che mettono nell’Ue più di quanto prendono. Un po’ va bene, ma senza esagerare. Su questo potremmo anche mettere il veto, ha annunciato il ministro Enzo Moavero.
Per ora questa battaglia ha già prodotto danni: non si sono pagati i 9 miliardi per chiudere il bilancio del 2012 e dunque Erasmus è scoperto, ma anche mancano i soldi per il sostegno ai disoccupati e per le aree svantaggiate. E’ una battaglia politica, prima che economica, tra chi vuole limitare il ruolo dell’Unione e chi invece ci conta per il futuro. Per il premier britannico David Cameron, che ha otto ministri pronti a lasciare l’Unione e la spada di Damocle di un referendum sull’abbandono dell’Ue che aleggia da tempo, tagliare è una battaglia per la sopravvivenza politica.
Lorenzo Robustelli (Da Il Secolo XIX di oggi)