Bruxelles – “Dobbiamo uscire dalla retorica che la green economy fa bene all’ambiente e basta. La chiave di lettura vera è collegare la sostenibilità ambientale alla politica industriale”. Ne è convinta Simona Bonafé, europarlamentare del gruppo S&D, che è intervenuta alla seconda giornata del dibattito ‘How can we foster green growth?’ organizzato da Eunews. Bonafé ritiene che “non ci siano alternative all’economia verde”, la quale costituisce “una grande sfida”. Ricordando che “l’Ue si è sempre giocata la sua credibilità sulle grandi sfide”, la deputata si dice convinta che “anche questa volta l’Europa possa fare la differenza rispetto al resto del mondo”.
L’esponente del Pd denuncia però una “discrasia tra le istituzioni” comunitarie: se “il Parlamento alza il tiro” sulla green economy, “puntualmente il Consiglio fa accordi al ribasso”. Inoltre, anche la Commissione dà segnali di incertezza. Ne è un esempio, secondo Bonafé, “il ritiro della direttiva sull’economia circolare”. Sebbene l’europarlamentare si dica convinta che, alla fine, l’esecutivo europeo “manterrà la promessa di ripresentare un pacchetto più ambizioso”, lamenta una “occasione perduta”, dal momento che “c’era già una filiera produttiva pronta a investire” ma è stata frenata dall’incertezza. Segnali positivi arrivano però dal Piano Juncker, che per la deputata europea è “un punto di partenza” anche per lo stimolo dell’economia verde. Non certo per la dotazione finanziaria “limitata”, ma perché “sui grandi progetti che il Piano vuole finanziare ci siamo”.
Anche il professor Francesco Saraceno parla della necessità dell’intervento pubblico per guidare il cambiamento verso un modello economico verde. Da un lato perché gli Stati possono “sostenere il processo di innovazione” meglio dei privati, dal momento che possono permettersi “un orizzonte di 20 o 30 anni” per aspettare i ritorni di un investimento e possono assumere i rischi legati a un percorso che “si sa dove parte ma non si sa dove arriva”. Cosa impensabile per una impresa. Dall’altro lato, secondo Saraceno, tocca sempre agli Stati intervenire per “liberalizzare i mercati” della green economy. Ad esempio sulle fonti rinnovabili, dove “ci sono forti barriere all’ingresso e una bassa propensione a innovare da parte delle aziende già presenti in quei mercati”. Per Saraceno le politiche di innovazione funzionano meglio con mercati più liberalizzati e con barriere all’ingresso che vengono abbassate”. L’Europa insomma deve intervenire sia con investimenti che sul piano normativo.
I due aspetti possono essere affrontati anche in maniera congiunta. Lo si intuisce ascoltando il primo cittadino di Sasso Marconi, Stefano Mazzetti, che è anche coordinatore nazionale di sprecozero.net – Italian zero-waste initiative, che riunisce diversi amministratori locali per “mettere in rete le buone pratiche” sul piano della lotta agli sprechi. Per Mazzetti, “serve una legislazione coerente in Europa” per “fare della green economy uno strumento di sviluppo economico e di efficienza amministrativa”. Ma, allo stesso tempo, è necessario sbloccare dal punto di vista normativo la possibilità, per gli enti locali, di investire nel “nuovo modello economico” basato sulla sostenibilità. Se è grave che “io non possa investire per mancanza di fondi”, avverte il sindaco, lo è ancor di più “non poter intervenire neppure quando le risorse ci sono”, perché a impedire gli investimenti è il Patto di stabilità.