L’applicazione del nuovo regolamento UE 2022/1925 “Digital Markets Act” ha messo in allerta i colossi del settore digitale e suscita particolare interesse la vicenda che vede coinvolta Bytedance Ltd, proprietaria del famoso social network TikTok. La società ha infatti presentato due ricorsi al Tribunale dell’Unione europea: con il primo ha contestato la qualifica di gatekeeper ai sensi della normativa e, nelle more della decisione, mediante il secondo ha richiesto la concessione di misure provvisorie per evitare l’applicazione del DMA, lamentando il rischio di subire un pregiudizio grave e irreparabile. Lo scorso 9 febbraio il Tribunale si è pronunciato su quest’ultimo ricorso, rigettandolo.
La strategia UE per il digitale sulla quale si innesta il regolamento è connotata da un complesso di atti normativi eterogenei come, ad esempio, “Digital Service Act”, “AI Act”, “Data Act” e “Cybersecurity Act”. In questo scenario, l’Unione europea è posizionata sulla linea del fronte, nel tentativo di disciplinare un settore in fibrillazione e in continua evoluzione.
Tutelare la concorrenza e il mercato unico, anche in ambito digitale
Facendo leva anzitutto sulla tutela della concorrenza ex ante, il DMA introduce principi e norme chiare indirizzate ai grandi player del settore digitale per prevenire il verificarsi di distorsioni di mercato. Invero, i soggetti che gestiscono le piattaforme digitali detengono e organizzano gli spazi virtuali dove si svolge una parte sempre più significativa delle relazioni commerciali e la loro supremazia tecnologica ed economica è tale da creare barriere all’ingresso e all’uscita dei mercati; parimenti, la subalternità degli utenti commerciali nei loro confronti può sfociare in condotte sleali, estranee alle logiche di mercato.
La partita è decisiva poiché la stretta correlazione tra mercato unico concorrenziale e progresso tecnologico, economico e sociale costituisce, sin dalle origini, l’asse portante dell’ordinamento dell’Unione. In assenza di adeguate misure, esiziali sono i rischi non solo per i consumatori, ma anche per le piccole e medie imprese che costituiscono un motore formidabile di innovazione in Italia e in Europa.
I gatekeeper alterano il mercato
Il DMA muove come noto dalla qualifica di gatekeeper di alcune imprese del settore digitale. Gli elementi che rilevano a tal fine sono anzitutto l’impatto significativo sul mercato interno e la fornitura di servizi di piattaforma di base (ad esempio, quelli di intermediazione online, motori di ricerca online, social network, browser web, assistenti virtuali, etc.), che rappresentano uno snodo fondamentale per permettere agli utenti commerciali di raggiungere i consumatori. Inoltre, ai fini della sottoposizione alla normativa, si richiede che tali imprese detengano una posizione consolidata e duratura nel mercato, attuale o potenziale. Il regolamento individua parametri quali-quantitativi per stabilire oggettivamente la sussistenza di tali condizioni (es. fatturato, capitalizzazione, utenti attivi su base mensile, etc.). Dalla designazione quale gatekeeper discende un novero eterogeneo di obblighi e divieti assai impattanti e il cui obiettivo è appunto quello di agevolare la formazione di un mercato digitale più aperto, equo e contendibile.
Nel quadro appena delineato, TikTok è stato designato gatekeeper dalla Commissione europea lo scorso 5 settembre 2023 e ciò implica per la società l’obbligo di conformarsi alla normativa entro sei mesi da tale data (6 marzo 2024).
Nel recente ricorso per la sospensione della decisione della Commissione in attesa della pronuncia giudiziale sulla qualifica di gatekeeper, Bytedance si è soffermata su due obblighi in grado di causare, dal punto di vista della società, «a serious and irreparable harm». In primo luogo, l’art. 15 impone di presentare alla Commissione una descrizione – sottoposta ad audit indipendente – delle proprie tecniche di profilazione dei consumatori e a metterne a disposizione del pubblico una sintesi. In secondo luogo, l’art. 5 pone una serie di significative limitazioni al trattamento di dati personali raccolti dall’interazione degli utenti sulle piattaforme nonché all’utilizzo incrociato con dati raccolti al di fuori di esse.
Tiktok non vuole rivelare le tecniche di profilazione e teme per il ritorno sugli investimenti
È assai interessante andare al cuore delle ragioni che hanno ispirato la strategia processuale di Bytedance. Per quanto concerne l’applicazione dell’art. 15, la società ha sostenuto che la divulgazione delle informazioni concernenti le tecniche di profilazione («the heart of TikTok’s business in the European Union») le avrebbe arrecato un irreparabile danno competitivo in relazione a concorrenti che, non classificati quali gatekeeper, non sono tenuti ad analoga disclosure. Si tratterebbe infatti di «highly strategic information» non di pubblico dominio e che consentirebbero alle terze parti di accedere al nucleo delle strategie di business di TikTok, godendo quindi di un ingiusto vantaggio competitivo.
Sul punto, il Tribunale non ha però ritenuto provato il rischio di disclosure di informazioni riservate, dal momento che l’art. 15 prevede la trasmissione di tali informazioni esclusivamente alla Commissione e all’European Data Protection Board, i cui membri, funzionari, etc. sono tenuti al segreto professionale ai sensi dell’art. 26 del DMA. Ciò che deve essere invece indirizzato al pubblico è una panoramica delle tecniche di profilazione, ovverosia un compendio delle informazioni dalle quali possono legittimamente essere espunte quelle confidenziali. Infine, secondo i giudici il danno patiendi sarebbe meramente astratto e ipotetico, giacché la società avrebbe dovuto specificare la natura, il contenuto, il valore e la rilevanza delle informazioni in relazione alla lesione della concorrenza.
I dati degli utenti al centro della controversia
Analogamente, il Tribunale ha ritenuto destituito di fondamento pure l’argomento relativo ai danni derivanti dall’applicazione dell’art. 5. Bytedance ha sostenuto che l’implementazione della piattaforma ha comportato ingenti investimenti in un settore dominato da vantaggi competitivi di cui possono beneficiare solamente le grandi imprese tecnologiche. Le limitazioni al trattamento dei dati impedirebbero dunque a TikTok di beneficiare dei propri investimenti e, nella specie, dell’approfondita conoscenza degli utenti per offrire nuovi beni e servizi e per indirizzarli sui propri prodotti. Ciò costituirebbe per la società un ostacolo a una competizione efficace, dal momento che tali pratiche rappresentano l’unico trampolino di lancio per penetrare nel mercato UE («according to the applicant, its only launchpad for successful entry into the EU market is the TikTok end-user base and related end-user data»).
I giudici hanno tuttavia cassato anche tale rilievo evidenziando che l’art. 5 non proibisce in radice tali particolari trattamenti, bensì li subordina al consenso dell’utente. Pertanto, ricade sul gatekeeper l’onere di convincere i consumatori circa i possibili vantaggi che potrebbero trarre dall’uso incrociato e combinato dei propri dati da parte di TikTok.
Le opportunità del Digital Makets Act per le piccole e medie imprese
La vicenda appena esposta e le questioni delineate permettono di focalizzare, attraverso il prisma delle preoccupazioni di Bytedance, i temi centrali del “Digital Markets Act” e, dunque, la necessità dell’intervento europeo nonché le opportunità per piccole e medie imprese.
Se da un lato, infatti, tali piattaforme rappresentano un formidabile spazio per la possibilità degli operatori commerciali di posizionarsi nel mercato digitale e intercettare i bisogni dei consumatori, è dall’altro evidente che essi si trovano ad operare in uno spazio virtuale nel quale le dinamiche di mercato e di libera competizione possono essere agevolmente e celatamente distorte. Sul punto, si è provocatoriamente paventata l’avvenuta sostituzione del mercato con una sorta di “feudo digitale” (Y. Varoufakis, “Tecnofeudalesimo”).
È appena il caso di evidenziare che la possibilità di aggregare vaste quantità di informazioni provenienti dai consumatori consente ai gatekeepers di influenzare i prezzi, suggerire prodotti, indirizzare le scelte con consigli mirati ed esperienze di navigazione altamente personalizzate. Non è affatto inverosimile che la medesima ricerca all’interno di una piattaforma di e-commerce, di un social network, etc. porti a differenti risultati tra gli utenti.
Il contrasto dell’Ue alle posizioni dominanti…
Nell’ottica di impedire tali pratiche sleali, il regolamento impone ai gatekeepers, tra l’altro, di garantire condizioni trasparenti, eque e non discriminatorie in termini di posizionamento e indicizzazione di beni e servizi sulle piattaforme; vieta il self preferencing, cioè il favorire arbitrariamente propri prodotti a discapito di quelli di altri operatori, così come il leveraging, cioè lo sfruttamento della propria posizione dominante per imporre commissioni elevate o la limitazione forzata dell’accesso a servizi e prodotti online.
D’altro canto, le piattaforme tendono alla continua espansione della propria sfera di influenza, per creare un ecosistema all’interno del quale gestire ogni aspetto della relazione commerciale. È il caso, ad esempio, di WeChat, che in Cina ha integrato tra i numerosi servizi offerti sulla propria piattaforma anche un wallet digitale da utilizzare nel relativo marketplace, aggirando l’intermediazione degli istituti di credito (un tentativo in tal senso, seppure fallito, è stato avanzato anche da Facebook con la criptovaluta “Libra”).
Ecco dunque il secondo profilo critico affrontato dal DMA: il progressivo consolidarsi ed espandersi delle Big Tech sfida la libera concorrenza non solo nei confronti degli operatori commerciali che sviluppano il proprio business sulle piattaforme, ma anche dei potenziali concorrenti dei gatekeepers stessi. Il loro accesso al mercato potrebbe essere agevolmente impedito dall’impossibilità di sfruttare “rendite di posizione” come i dati aggregati degli utenti che interagiscono sulle piattaforme o gli effetti di rete.
… e le garanzie per gli utenti commerciali più piccoli
Anche in questo caso, l’intervento dell’Unione appare fondamentale laddove prevede il divieto per il gatekeeper di utilizzare, in concorrenza, dati non accessibili raccolti dalle interazioni degli utenti commerciali sulle piattaforme. Ancora, si introduce l’obbligo di fornire a titolo gratuito agli utenti commerciali un accesso efficace, continuo e in tempo reale a dati, aggregati e non, generati nell’ambito dell’uso dei propri servizi. Tra le previsioni più discusse, poi, due forme di interoperabilità attraverso cui gli utenti potrebbero comunicare tra diverse piattaforme senza ostacoli: una “orizzontale”, per consentire la comunicazione tra diversi servizi di messaggistica (come già accade per la posta elettronica), e una “verticale”, con l’obbligo di garantire l’accesso alle funzionalità essenziali di sistemi operativi o capacità hardware dei dispositivi e l’installazione di app store di terze parti e app sideload (scaricate da fonti di terze parti). In questo modo, viene data agli utenti l’opportunità di sottrarsi agli effetti di rete, integrando servizi di imprese diverse, con effetti positivi per il livello dei prezzi e la promozione dell’innovazione, di cui potranno farsi portatori agenti economici anche di piccola dimensione, come le start-up.
Nell’attesa di testare sul campo l’efficacia del “Digital Markets Act”, la recente ordinanza del Tribunale dell’Unione europea disvela la sfida epocale dei prossimi anni nell’ambito di un mercato europeo dove si incrociano interessi confliggenti. Al contempo, il provvedimento dimostra ancora una volta come l’intervento dell’Unione sia cruciale per la tutela della piccole medie imprese europee e il loro potenziale innovativo.
*Riccardo Borsari, Università degli Studi di Padova