Roma – L’anidride carbonica è solo uno dei principali fattori dei cambiamenti climatici oppure la CO2 è una materia prima per il settore industriale? Come trovare un approccio globale che la tratti con standard uguali dovunque? A tutto questo cerca di rispondere Agime Gerbeti, senior expert sulle fonti di energia rinnovabili, l’efficienza energetica e la normativa internazionale sulle emissioni di CO2 presso il GSE – Gestore Servizi Energetici. Con il suo libro “CO2 nei beni e competitività industriale europea” di recente pubblicazione (stampato da Editoriale Delfino anche in inglese col titolo “A Symphony for Energy: CO2 in Goods”), Agime Gerbati avvia il dibattito, consapevole del fatto che “la risposta a questi problemi non si trova nel dibattito ideologico tra realisti e ambientalisti”. L’autrice parla a Eunews della sua pubblicazione e di sostenibilità. Su molti di questi temi un’occasione di dibattito di altro livello cis arà a Bruxelles la prossima settimana con il convegno organizzato da Eunews “How can we foster green growth?“.
Come nasce questa pubblicazione?
Mi sono sempre occupata di questioni energetiche e ambientali, specificamente di Kyoto prima per il ministero dell’Ambiente e poi ETS (il mercato dei diritti di emissione di CO2) per il ministero dello Sviluppo economico. Quattro anni fa mi sono resa conto che l’approccio alla materia era parziale. Non soddisfaceva né le aspettative ambientali, infatti le emissioni a livello globale aumentano business as usual, né un reale rinnovamento industriale europeo. Mi sono chiesta dove il meccanismo s’inceppava e il libro è la mia risposta.
Qual è la conclusione del suo lavoro e quale contributo dà questo libro?
La conclusione è che la CO2 è una materia prima del processo produttivo. Un materiale che ha oggi un costo solamente in Europa ma il conto, ci dicono gli scienziati, lo pagheremo tutti. L’Ue deve imporre un prezzo amministrato alla CO2 sia che questa venga prodotta o solo importata in Europa.
Le faccio un esempio. Esistono dei limiti alle emissioni degli autoveicoli, che si traducono nii vari “Euro 5, Euro6”… Toyota, Hyundai, o altre case extra EU producono le macchine funzionalmente ai limiti imposti in Europa. Ma non è che su altri mercati vendano auto più inquinanti, accettano lo standard del più importante mercato mondiale. Così propongo che sia anche per la CO2 emessa nei processi produttivi. Quale contributo il mio libro? Spero di essere riuscita a mettere in fila tutte le questioni e di averlo scritto in maniera così semplice che davvero chiunque possa leggerlo e capire i termini del problema energetico ambientale.
Quali scenari dobbiamo attenderci?
Sul medio lungo periodo tutte le economie produttive emergenti adotteranno politiche per una limitazione delle esternalità negative e la prima sarà la Cina. Mi chiedo se saremo in tempo affinché i cambiamenti climatici siano reversibili e se nel frattempo esisterà ancora una seppur minima competitività industriale europea. Forse il vecchio continente, messo all’angolo, sceglierà di rinunciare alla produzione di beni a favore di una economia finanziaria e di servizi. Potrebbe non esserci spazio per tutti i lavoratori europei e quelli che dall’Africa e dall’Asia arrivano qui per cercare una speranza di vita. È un tipo di economia ad altissima scolarizzazione…
C’è un nuovo approccio oggi in Europa sulle questioni legate alla sostenibilità?
Si e no. È diffusa la sensazione che i risultati delle politiche adottate non vanno nella direzione auspicata e molte proposte nuove vengono formulate in ambiti strettamente settoriali, alcune simili alle mie conclusioni, ma al livello istituzionale si cerca di riaffermare strade battute o di rafforzarle. Ma questo è un atteggiamento tipicamente umano, la crisi economica genera paure e la paura ci fa chiudere dentro le nostre case ideologiche.
Nel libro scrivo: “Quando una battaglia condotta con successo insegna un comportamento vincente, l’uomo tende a conservarlo anche a fronte di innumerevoli sconfitte. Non si arrende al fallimento ma ripropone la stessa strategia fino a quando non ne apprende una più con-vincente”.
Oggi c’è un’attenzione crescente al contenuto di CO2 dei prodotti. Come mai?
Concordo solo in parte. L’attenzione alle esternalità negative dei processi industriali è un lusso che solo i paesi ricchi possono permettersi e credo che, in tempi di crisi economica, anche molti consumatori europei preferiscano pagare meno un prodotto a prescindere dall’impatto che il processo produttivo ha avuto sull’ambiente. L’attenzione per il contenuto di CO2 nei prodotti deve essere ben più evidente che una dicitura sul retro della confezione, deve essere valorizzato economicamente. Un bene che ha utilizzato poca CO2 deve essere dunque anche più conveniente.
Per un’Europa sempre più attenta all’impronta di carbonio di ciò che produce e/o importa, c’è un’uguale attenzione da parte dei Paesi emergenti? O si rischia di sacrificare la competitività dell’Ue in nome della sostenibilità?
Naturalmente no, e non potrebbe essere diversamente. Anche il recente accordo Stati Uniti-Cina, sebbene rilanci speranze e aspettative, potrebbe essere una negoziazione sul trasferimento tecnologico in materia di drilling. Ma se lo immagina un produttore di pentole e tegami a Ouagadougou in Burkina Faso che s’interessa di cosa brucia per ottenere energia? O un cementiere in India? Credo che la questione sia più grande della sola competitività europea, credo che attenga al modo in cui l’umanità fronteggia un problema comune, tra Cina e India, Argentina e Africa subsahariana, Australia e Russia e, naturalmente, Stati Uniti e Medio Oriente. Nel frattempo osservo che in epoca pre-crisi, il taglio di uno 0,5% sul costo del denaro faceva esultare il sistema produttivo.
Oggi il costo energetico tra approvvigionamento, tasse, oneri ambientali diretti e indiretti è molto di più dello 0,5%. È giusto che l’Europa se ne faccia carico ma, il suo impegno deve essere efficace per l’obiettivo di abbassare le emissioni globali.
Alla luce della conferenza mondiale sul clima di Parigi, questo libro può fornire uno strumento di dibattito per i leader chiamati a prendere decisioni?
Magari. Io credo che un accordo arriverà, e tutti saranno contenti, ma sarà così blando e dilazionato nel tempo che tutti saranno scontenti. La mia proposta potrebbe essere adottata, unilateralmente dall’Europa e spero dagli Stati Uniti, a prescindere da un accordo mondiale e sarebbe efficace da subito. Restituirebbe sul medio periodo un po’ di competitività alla agonizzanti industrie europee. Confesso che non sono affatto sicura che riceverebbe così grandi resistenze anche dai paesi emergenti. È una sfida nella quale vincerà chi sarà in grado di consumare meno pur producendo, di chi avrà la tecnologia per essere più efficiente del proprio competitor industriale, di chi avrà i più bassi costi energetici e il minor impatto di carbonio. Perché entrambi, energia e inquinamento, alla stregua del costo del lavoro, saranno moneta sonante, costi industriali vivi, spartiacque tra produzione e profitto.