Il mondo visto dal Cremlino non è poi così male rispetto a un anno fa. La crisi ucraina è sparita dalle aperture di giornali e telegiornali globali mentre un anno fa non si parlava d’altro con Mosca sul banco degli imputati. La tregua regge e la Crimea ormai è acquisita. Il rublo da inizio anno non fa che salire, a metà aprile aveva messo a segno un rialzo di quasi il 20 per cento sul dollaro, che pure non è una moneta debole. Sull’euro ci avviciniamo al 30 per cento. L’anno scorso era in caduta libera impiombato dalle sanzioni e dalla fuga di capitali. Anche dal fronte del petrolio le notizie sembrano positive. Il crollo del barile nella seconda metà del 2014 aveva prosciugato una delle principali fonti di entrate della Russia. Oggi la tendenza sembra invertita, almeno temporaneamente. Nella settimana chiusa il 17 aprile il Brent ha guadagnato quasi il 10 per cento e viaggia ben sopra i 60 dollari il barile. E lo zar Putin sembra sentirsi molto meno all’angolo di qualche mese fa, se può permettersi di lanciare all’Occidente un’apertura da una posizione che, se non è ancora di forza, almeno non è più di debolezza. Lo ha fatto sabato 18 aprile parlando al canale Rossiya della tv pubblica. Qualche citazione: “abbiamo avuto disaccordi su diversi temi dell’agenda internazionale, ma allo stesso tempo c’è qualcosa che ci unisce e ci costringe a lavorare insieme”, e poi ha auspicato “uno sforzo generale diretto a rendere l’economia del mondo più democratica e equilibrata, in modo che anche l’ordine mondiale sia più democratico”, insomma, ha concluso rivolto a Stati Uniti ed Europa, “abbiamo un’agenda comune”.
Le parole di Putin hanno stupito molti, anche perché solo qualche giorno prima i toni erano molto diversi, quando sempre in TV aveva accusato gli americani di volere non degli alleati, ma dei vassalli. Cosa sta succedendo? Perché Putin sta smettendo di somigliare al Viktor Petrov di House of Cards che insiste a fare sempre e comunque la parte del cattivo rimediando pubbliche figuracce? Forse non tanto e non solo per quello che è successo a suo favore in questo primo scorcio del 2015 – tregua che regge in Ucraina, rublo e petrolio che si apprezzano – ma per quello che potrebbe succedere nei prossimi mesi. Dall’Ucraina la tensione geopolitica potrebbe spostarsi a Sud, con una Grecia in bilico sulla permanenza nell’euro e nell’Unione e una Turchia proiettata verso elezioni politiche difficili con un’economia che fa fatica e una moneta ai minimi di sempre sul dollaro. Di possibile default e conseguente Grexit si parla da quattro anni, ma oggi la situazione è profondamente diversa. Atene è diventata un caso isolato, i mercati fibrillano ma non più di tanto, nessuno teme un effetto contagio, gli altri paesi del Sud Europa sono fuori dal tunnel. Mario Draghi parla da Washington di prospettive “luminose” per l’area euro. Le possibilità di un collasso greco non sono diminuite, è diminuito – moltissimo — l’impatto che causerebbe sui mercati. E questo rende la situazione pericolosa per i greci, anche se Tsipras e Varoufakis sembrano non rendersene conto. Anche la Turchia è in bilico, sempre più lontana dall’ingresso in Europa, ma pur sempre – come la Grecia – tassello chiave della NATO. Due paesi a rischio, per ora abbastanza limitato, di destabilizzazione in un Mediterraneo già abbastanza destabilizzato con la Libia in mano a bande armate e incontrollate. Uno scenario poco confortevole per l’Occidente ma con i suoi lati positivi, se visto dal Cremlino. Che potrebbe spiegare il braccio teso di Putin.
Se ci spostiamo più a Est troviamo anche qui uno scenario in movimento. Un Iran sdoganato dalle sanzioni potrebbe modificare l’equilibrio tra i grandi produttori di petrolio, mentre l’Arabia Saudita sente il bisogno di far vedere chi comanda da quelle parti come nel caso dello Yemen. Intanto gli stessi grandi produttori continuano a pompare a manetta, avvicinandosi al limite del pieno utilizzo della capacità. Un’azione all’inizio motivata dalla volontà di difendere le quote di mercato dai nuovi produttori del Nord America, anche a costo di lasciar precipitare i prezzi. Ma continuando a pompare portando l’utilizzo della capacità produttiva al limite si rischia di gettare le premesse per un forte rimbalzo dei prezzi, ben oltre quanto si è visto, a singhiozzo, nella prima parte del 2015. E anche questo possibile sviluppo, visto dal Cremlino, non deve poi dispiacere, visto che l’economia russa si regge in buona parte sulle esportazioni di petrolio. Per non parlare dei vantaggi che una modifica di equilibri può offrire in termini di rientro nel grande gioco.
Il tutto mentre l’America è sempre più concentrata su se stessa e sulle elezioni dell’anno prossimo. Per l’Europa potrebbe aprirsi una partita complicata, ma anche forse l’occasione di mettere mano seriamente al problema della sicurezza politica ed economica dei suoi confini sud-orientali. E magari riscattarsi dai pasticci combinati ai tempi delle primavere arabe.