Bruxelles – L’Unione europea che vorrebbe essere leader del cambiamento sostenibile, la leadership non l’ha mai avuta e rischia di non averla. Perché in ritardo, alle prese con problematiche nuove che incidono sul raggio dell’azione politica e la capacità di tradurre in pratica ambizioni dichiarate e sventolate. Il centro studi e ricerche del Parlamento europeo, in un’analisi delle varie sfide che ammantano l’eurozona, inchioda l’Ue ai propri limiti, e mette in luce i peccati originali alla base di una strategia certamente necessaria per contrastare il surriscaldamento globale ma che non sembra essere meno scontata del dichiarato.
L’Unione europea ha varato il nuovo corso, quello votato alla green economy, nel 2019. Sono stati annuncio e promessa del Green Deal a permettere a Ursula von der Leyen di essere investita alla testa dell’attuale comunitario. Un impegno tardivo, se si procedere a paragoni. Andando a guardare le politiche di sostegno al clean-tech, “negli ultimi 15 anni, il governo cinese ha sovvenzionato massicciamente le industrie verdi, dandole un vantaggio in settori chiave (come l’energia solare) e nelle materie prime critiche (estrazione e raffinazione) che sono essenziali per l’ambiente transizione (ad esempio batterie agli ioni di litio per veicoli elettrici)”.
L’Ue ha un decennio e anche qualcosa di più di ritardo. Come se non bastasse, sull’altra sponda dell’Atlantico, continua lo studio dell’europarlamento, “più recentemente, gli Stati Uniti hanno intrapreso la cosiddetta ‘corsa ai sussidi’, culminata nell’agosto 2022 con l’Inflation Reduction Act (IRA), che incentiva la produzione nazionale di energia pulita e tecnologie per re-industrializzare il paese, garantire l’approvvigionamento energetico e ridurre la propria dipendenza dalla Cina”. Perciò, “in confronto, l’UE è entrata nella corsa più tardi, non necessariamente con fondi inferiori, ma soprattutto con un progetto meno appropriato per alimentare gli investimenti verdi”.
Un progetto che potrebbe anche non essere né rafforzato né invertito alla luce delle nuove esigenze di spesa in sicurezza e difesa. L’aggressione russa dell’Ucraina ha spinto l’Ue ha investire massicciamente nel sostegno a Kiev, e rilanciare un altro tipo di industria, quella difesa, che rischia di dirottare sforzi e risorse da ciò che serve per la transizione verde per sostenere i nuovi sforzi del comparto e non solo. Perché gli Stati Ue della Nato non hanno ancora rispettato l’impegno minimo del 2 per cento del Pil di spesa in sicurezza e c’è oggi la necessità di combinare gli obblighi derivanti dall’Alleanza atlantica e la produzione di munizioni e proiettili d’artiglieria necessari per contrastare l’avanza russa in Ucraina. L’Ue è dunque in ritardo, e il ruolo guida della sostenibilità appare ancora più lontano.