Strasburgo – Il sindaco di Lampedusa e l’arcivescovo di Agrigento hanno partecipato a un dibattito sull’immigrazione tenutosi a Strasburgo, nel quadro della sessione del Congresso delle Autorità Locali e Regionali del Consiglio d’Europa.
“Lampedusa è come una zattera in mezzo al mare”, ha detto Giusi Nicolini, “tra due continenti, Europa ed Africa, ed il problema dei migranti è prima di tutto umanitario”. Lampedusa, ha continuato il sindaco, “rappresenta un osservatorio privilegiato”, da cui “è facile capire che in Africa si sta vivendo una pagina di storia, e non un dramma emergenziale che può essere risolto da un giorno all’altro”. Perciò, prosegue, “a noi fa rabbia perché gli anni passano mentre tutti guardano a questo fenomeno come ad una calamità naturale che è nata ieri e potrebbe finire domani, mentre per noi è la quotidianità”.
“Per lungo tempo l’isola ha svolto la sua funzione in completa solitudine”, ha aggiunto il sindaco, che ha fatto notare come “i migranti siano tanti per Lampedusa ma non per l’Europa” e quanto sia deprimente “il luogo comune dell’invasione”. Ha poi ricordato che “lo sguardo dell’isola è per forza diverso”, dato che i profughi quando giungono “sono prima di tutto naufraghi, e questo cambia moltissimo quello che siamo tenuti a fare nei loro confronti dal momento in cui chiedono aiuto in mare a quello in cui arrivano”.
“Ci aspettiamo provvedimenti seri di cambiamento”, ha poi insistito nel rispondere alle tante domande poste dai membri del Congresso, che “stabiliscano procedure diverse per il diritto di asilo” e per “rispondere alla richiesta di sicurezza dei cittadini e non solo dei migranti”. Riguardo alle condizioni disumane dei naufraghi ha poi ricordato che “tutte, tutte le donne raccontano di essere state stuprate nei campi profughi”, e riguardo all’accoglienza ha evidenziato come “se tutto avvenisse nel rispetto dei diritti umani e nel rispetto dell’isola” allora “non si morirebbe di aiuto”, tuttavia se i centri “diventano carceri a cielo aperto allora ciò è un’ingiustizia per le persone salvate che poi vengono abbandonate per strada e anche per i Lampedusani”.
L’arcivescovo di Agrigento, cardinale Francesco Montenegro, ha definito il Mediterraneo “una tomba liquida”, mettendo poi in risalto la questione di come il fenomeno migratorio, di cui Lampedusa rappresenta un crocevia importantissimo, “insegni come non si possa fermare la Storia”; ha fatto notare poi che “nel mondo si spostano circa duecentotrenta milioni di persone, che possono costituire un altro continente”, ed affermato dunque che le resistenze ad accettare e ad occuparsi responsabilmente della gestione dei flussi siano dovute “a consolidati ordini sociali ed economici che nuovi assetti del Mediterraneo potrebbero destabilizzare”.
Il cardinale ha poi fatto notare come tali fenomeni migratori “non rappresentino un male ma il sintomo di un male” all’interno di “un mondo ingiusto caratterizzato da conflitti e povertà” e in cui “l’Occidente, fulcro della civiltà, va indebolendosi”. “La globalizzazione porta con sé il fenomeno delle immigrazioni”, ha continuato, ma “siccome i governi esitano a intervenire allora gravi sono le ricadute sugli enti locali e regionali, disorientati nella gestione di una realtà così complessa”.
L’arcivescovo di Agrigento ha poi ricordato le parole del Papa quando ha affermato che “la tratta degli esseri umani è una piaga vergognosa del nostro tempo”, ed ha quindi riportato l’attenzione sull’importanza di non perdere mai di vista “la dignità della persona umana e la sacralità della vita”. Importante dunque, ha continuato sempre il cardinal Montenegro, “occuparsi della grande sfida che le migrazioni rappresentano per l’Europa affrontando il fenomeno nei Paesi di origine, di transito e di destinazione”, specialmente nelle acque del Mediterraneo che hanno visto “per secoli popolazioni diverse incontrarsi e confrontarsi”.
Riguardo al ruolo della Chiesa l’arcivescovo ha poi detto che essa “sta portando avanti la cultura dell’accoglienza”, ed ha ammonito invece le istituzioni rimproverandone l’assenza e la mancanza di iniziativa. Laddove lo Stato non interviene la Chiesa “opera con progetti scolastici e di lavoro e accompagna con le pratiche burocratiche, ponendo particolare attenzione alla condizione dei minori e delle donne costrette a prostituirsi”. Tutto ciò però, fa notare, solo in seguito all’uscita dei migranti dai centri di accoglienza, all’interno dei quali la Chiesa “non può intervenire senza particolari permessi”.