Bruxelles – I tagli alla difesa, gli allarmi di alcuni paesi per il comportamento della Russia, la necessità di mostrare un’Europa forte hanno spinto il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker a lanciare un appello dal forte valore politico, anche se senza speranze che venga accolto alla lettera. Almeno in questi anni. Lo sostiene Andrea Frontini, analista del think tank indipendente Epc (European Policy Centre), in un’analisi pubblicata oggi motivi e le ragioni che hanno spinto il presidente della Commissione a fare la sua dichiarazione.
Secondo Frontini Juncker è preoccupato per il declino delle capacità militari dell’Europa, legato a “una serie di tagli finanziari scoordinati e dovuti al regime di austerità”, ed ha dunque voluto porre l’accento sull’importanza delle forze armate in termini di sicurezza. Il presidente della Commissione tra l’altro, facendo riferimento alla crisi ucraina e alle sue “più ampie ripercussioni nelle relazioni tra Ue e Russia”, secondo Frontini ha ragionato in termini strettamente politici: sottolineando la posizione aggressiva di Mosca avrebbe infatti voluto “cementare la coesione all’interno dell’Unione in un periodo di grande incertezza per le prospettive del conflitto in Ucraina”.
Il parere dell’analista dell’Epc è che l’esercito dovrebbe servire non per essere utilizzato subito, come tra l’altro ha specificato lo stesso Juncker, ma come “un componente all’interno di un’interazione molto più complicata con la Russia”, che riesca “a bilanciare attentamente gli interessi e le percezioni divergenti che gli Stati membri hanno su questo tema”. Con il riferimento poi alla questione Ucraina, secondo Frontini, Juncker ha voluto in realtà toccare un argomento più importante, che “gli Europei dovranno necessariamente affrontare se vorranno avere una certa influenza sulla politica internazionale futura (inclusa quella del turbolento e vicino Nord Africa)”, ovvero quello che riguarda “l’utilizzo della forza in un clima globale in rapido cambiamento e sempre più multipolare”.
Frontini afferma che “a parte la dichiarata fiducia di Juncker nella tendenza ad un modello europeo federalista, il suo ruolo come presidente della Commissione Ue lo pone nella posizione di affrontare il tema delle forze armate in un’ottica di integrazione”, e dunque “gli Stati membri dovrebbero essere considerati come i principali destinatari delle sue dichiarazioni, date le loro radicate divergenze sui fini ultimi della politica di difesa europea e la loro generale riluttanza ad alleggerire la propria sovranità in materia militare”.
A sostegno dell’ipotesi che quella di Juncker sia una valutazione politica ben formulata, piuttosto che un’idea solo apparentemente non ancora realizzabile, l’analista ricorda che “a giugno i vertici europei si riuniranno per ridiscutere la politica di difesa dell’Europa”, e afferma che “probabilmente, ‘alzando l’asticella’ con una dichiarazione così provocatoria, egli abbia sperato di indurre ad un pensiero più innovativo in un settore ancora anemico”.
Secondo Frontini però “l’appello di Juncker per un esercito europeo rimarrà nell’iperuranio platonico per parecchie ragioni, incluso lo stadio ancora embrionale che caratterizza l’integrazione militare europea”; tuttavia aggiunge che “discutere riguardo a simili politiche a lungo termine rappresenta una prova importante della solidarietà politica europea e dell’efficacia della politica estera”. Per questa ragione dunque “più del risultato finale conta il processo”, che “la dichiarazione del presidente della Commissione ha il merito di contribuire a mantenere vivo”.
In conclusione perciò, secondo Frontini, “l’appello di Juncker deve essere visto come un messaggio politico sfaccettato e di stimolo”, nella prospettiva di una maggiore consolidazione europea e di un più rilevante ruolo internazionale, e in previsione di un presumibile dialogo sul ruolo globale dell’Unione che potrebbe essere avviato nei prossimi mesi.