Bruxelles – È la settimana della grande offensiva del Parlamento Europeo contro l’Ungheria di Viktor Orbán, ma non solo. Perché nel mirino degli eurodeputati – chiamati domani (18 gennaio) a votare sulla tanto attesa risoluzione sulla ‘situazione in Ungheria e i fondi Ue scongelati’ – ci sono anche e soprattutto le altre due istituzioni comunitarie, accusate non troppo velatamente di non fare gli interessi economici e valoriali dell’Unione Europea. “L’introduzione del meccanismo per lo Stato di diritto è stato un grande successo, ma vogliamo verifiche dei fatti e spiegazioni sugli sblocchi dei fondi Ue“, ha sintetizzato nel suo intervento di questa mattina (17 gennaio) il presidente del Partito Popolare Europeo (Ppe), Manfred Weber, alla sessione plenaria dell’Eurocamera.
Sessione plenaria a cui ha partecipato anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sotto pressione degli eurodeputati per la decisione di scongelare 10,2 miliardi di euro in fondi Ue all’Ungheria a metà dicembre, proprio in occasione del Consiglio Europeo in cui il premier Orbán ha tenuto in ostaggio sia l’avvio dei negoziati di adesione Ue per l’Ucraina (poi sbloccati), sia la revisione del Quadro finanziario pluriennale con lo Strumento per il sostegno a Kiev da 50 miliardi di euro. “Quando ci siamo insediati, abbiamo promesso di salvaguardare lo Stato di diritto nell’Unione, e di essere al contempo equi nei confronti di tutti i Paesi membri“, ha rivendicato la numero uno dell’esecutivo comunitario. Per ottenere lo scongelamento di parte dei fondi della politica di coesione, della pesca e degli Affari interni, “l’Ungheria ha approvato una nuova legge sulla riforma della giustizia che risponde a una serie di nostre raccomandazioni”, ovvero “ciò che era necessario per soddisfare le condizioni richieste“. La presidente von der Leyen ha ricordato anche che “i commissari hanno informato il Parlamento in anticipo” (anche se solo un mese prima dello sblocco il responso non era sembrato così positivo) e soprattutto che “circa 20 miliardi di euro rimangono congelati” per “preoccupazioni sui diritti Lgbtq+, sulla libertà accademica e sui diritti di asilo” e per il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto.
Per l’Aula di Strasburgo l’arringa difensiva di von der Leyen non è stata affatto soddisfacente, tanto che il presidente del Ppe (della stessa famiglia politica della numero uno della Commissione), ha ricordato di aver inviato una lettera alla presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, per esortare i commissari per il Bilancio, Johannes Hahn, e per la Giustizia, Didier Reynders, a “fornirci spiegazioni”. Il vicepresidente del gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D), Pedro Marques, ha rincarato la dose, sostenendo che “stiamo cedendo ai ricatti di Orbán e tutti gli autocrati europei si sfregano le mani”, mentre il presidente ad interim del gruppo di Renew Europe, Malik Azmani, ha fatto riferimento all’intesa tra i negoziatori dell’Eurocamera sull’inserimento nella risoluzione al voto domani del punto sull’avvio dell’iter per intentare una causa contro la Commissione davanti alla Corte di Giustizia dell’Ue. “Cedere ai ricatti di Orbán è una pratica che dobbiamo smettere ora, perché apre la porta a ulteriori ricatti“, gli ha fatto eco il collega ed ex-premier belga Guy Verhofstadt.
Ma ciò su cui il Parlamento Ue sta spingendo di più è un’altra modalità per inibire le capacità di ricatto dell’Ungheria di Orbán: il ricorso all’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea. Si tratta del meccanismo che permette di sospendere i diritti di adesione all’Ue in caso di violazione “grave e persistente” dei principi fondanti dell’Unione da parte di un Paese membro e che, nel caso dell’Ungheria, ha una storia lunga all’Eurocamera. Con la risoluzione del 12 settembre 2018 gli eurodeputati già nella scorsa legislatura avevano richiesto al Consiglio di valutare le violazioni dello Stato di diritto a Budapest, dal momento in cui è di sua competenza la delibera con una maggioranza di quattro quinti (il Paese membro in questione non parteciperebbe alla votazione). Dopo aver ricevuto la lettera presentata da oltre 120 eurodeputati che invoca il ricorso all’articolo 7, la presidente Metsola ha fatto sapere alla stampa che “incontrerò i deputati per vedere il da farsi”. La procedura è stata citata da quasi tutti i capi-gruppo che sostengono il gabinetto von der Leyen e anche la co-presidente del gruppo dei Verdi/Ale, Terry Reintke, ha messo in chiaro che “l’articolo 7 è l’unica strada nella battaglia tra democrazia e autocrazia“, attaccando il Consiglio per “non aver fatto nulla” negli ultimi cinque anni.
I fondi Ue congelati e scongelati all’Ungheria
Stando ai dati più accurati forniti a maggio 2023 dai servizi della Commissione, i fondi Ue destinati all’Ungheria congelati da Bruxelles si attestavano a 28,6 miliardi di euro, divisi in tre macro-aree: Piano nazionale di ripresa e resilienza (5,8 miliardi), fondi della politica di coesione (22,6 miliardi) e fondi per gli Affari interni (223 milioni). Le tre strade procedono in parallelo, ciascuna con una procedura specifica (o più, in base alla natura dei finanziamenti). La prima considera i “27 super-obiettivi” sullo Stato di diritto stabiliti il 30 novembre dello scorso anno dalla Commissione per sbloccare i fondi del Pnnr dell’Ungheria, ovvero 5,8 miliardi in sovvenzioni. Quanto ci si attende da Budapest è che venga rafforzata l’indipendenza giudiziaria, in modo che le decisioni dei giudici siano “protette da interferenze politiche esterne”.
Il secondo capitolo – decisamente il più complesso – è quello che riguarda i fondi della politica di coesione, che per l’Ungheria valgono complessivamente 22,6 miliardi di euro come finanziamenti dal budget comunitario. Di questi fondi 6,3 miliardi sono stati congelati attraverso il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto per decisione del Consiglio nel dicembre 2022 (e che rimangono congelati). Si tratta di una procedura a sé stante che riguarda il 55 per cento dei fondi destinati all’Ungheria da tre programmi operativi finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), dal Fondo di coesione, dal Fondo per la transizione giusta (Jtf) e dal Fondo sociale europeo Plus (Fse+): ‘Ambiente ed efficienza energetica Plus’, ‘Trasporto integrato Plus’, e ‘Sviluppo territoriale e degli insediamenti Plus’.
Dei restanti 16,3 miliardi, 12,9 miliardi erano vincolati solo all’implementazione delle riforme giudiziarie (senza ulteriori criteri) e si tratta di quelli che sono stati in parte sbloccati da Bruxelles dopo la richiesta di revisione. I restanti 3,4 miliardi sono bloccati per il mancato rispetto delle condizioni abilitanti orizzontali – ovvero le condizioni necessarie per quanto riguarda la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue – in tre controversie tra la Commissione e l’Ungheria: la legge ‘sulla protezione dell’infanzia’ (la legge anti-Lgbtq+), quella sull’indipendenza accademica e quella sul trattamento riservato alle persone richiedenti asilo. La prima questione è responsabile per lo stallo del 3 per cento del budget della politica di coesione (cioè 678 milioni), la secondo del 9 per cento (oltre 2 miliardi) e la terza di un ulteriore 3 per cento (altri 678 milioni). Per sbloccare questi fondi non è sufficiente mettere fine alle questioni legate all’indipendenza del sistema giudiziario (anche se rimane per tutti questi un pre-requisito), dal momento in cui devono essere risolte anche le pendenze riguardanti le altre condizioni abilitanti orizzontali.
C’è infine da considerare l’ultima questione, quella dei 223,1 milioni di euro di tre programmi dei Fondi per gli Affari interni. Come appreso da Eunews a febbraio 2023 da fonti interne all’esecutivo comunitario – e poi confermato di nuovo a metà novembre – si tratta di 69,8 milioni dal Fondo Asilo, migrazione e integrazione (Amif), 102,8 dallo Strumento per la gestione delle frontiere e i visti (Bmvi) e 50,5 dal Fondo sicurezza interna (Isf). Nonostante la mancanza di trasparenza della Commissione renda complesso capire esattamente quali fondi siano stati scongelati, fonti vicine al dossier riferiscono che si tratterebbe sia dei fondi Isf e Bmvi (vincolati esclusivamente alle questioni giudiziarie secondo le decisioni di implementazione), sia di quelli Amif legati all’accesso all’asilo (integrazione), mentre rimarrebbero bloccati quelli legati al non-respingimento (rimpatri).