Bruxelles – Ora lo scontro non è più solo tra Bruxelles e Budapest, ma si è spostato fin dentro le istituzioni comunitarie. Come rende noto su X l’eurodeputato tedesco dei Verdi/Ale Daniel Freund, i negoziatori del Parlamento Europeo hanno concordato di iniziare l’iter per intentare una causa contro la Commissione Ue per la decisione di scongelare 10,2 miliardi di euro all’Ungheria. “L’accordo di dicembre con Orbán era sporco, non basato su effettivi sforzi di riforma in Ungheria”, è stato il commento dell’eurodeputato, allegando il passaggio della risoluzione che sarà votata giovedì (18 gennaio) dopo il dibattito di domattina alla sessione plenaria a Strasburgo sulla ‘situazione in Ungheria e i fondi Ue scongelati’.
Come si legge al punto 11 della risoluzione, gli eurodeputati voteranno se incaricare la commissione giuridica di “adottare quanto prima le misure necessarie” in relazione alla decisione della Commissione che ha portato allo scongelamento di 10,2 miliardi dei fondi della politica di coesione, della pesca e degli Affari interni il 13 dicembre 2023, compresa la possibilità di ricorrere alla Corte di Giustizia dell’Ue secondo quanto previsto dall’articolo 149 del Regolamento interno dell’istituzione. L’Eurocamera può “ricorrere a tutte le misure giuridiche e politiche a sua disposizione, qualora la Commissione sblocchi i finanziamenti senza che siano soddisfatti i criteri o non garantisca la piena attuazione della legislazione pertinente”, continua il testo della risoluzione, ricordando il ruolo dell’esecutivo comunitario di “custode del Trattato e degli interessi finanziari dell’Ue”. In ultima istanza, “la Commissione è politicamente responsabile nei confronti del Parlamento“. Raggiunto da Eunews, anche il capo-delegazione del Partito Democratico all’Eurocamera, Brando Benifei, ha sottolineato la necessità di “avere il massimo rigore per il rispetto delle norme europee sul rispetto Stato diritto, che in altre occasioni non si è visto”.
Parallelamente sono in corso le discussioni tra i capigruppo e la presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, su una lettera presentata da oltre 120 eurodeputati che invoca il ricorso all’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea contro l’Ungheria, ovvero il meccanismo che permette di sospendere i diritti di adesione all’Ue in caso di violazione “grave e persistente” dei principi fondanti dell’Unione da parte di un Paese membro. “Incontrerò i deputati per vedere il da farsi”, ha spiegato oggi alla stampa la numero uno dell’Eurocamera. Ancora più risoluti i liberali di Renew Europe che – per voce del presidente ad interim, Malik Azmani – hanno fatto sapere di voler depositare una mozione di censura contro la Commissione Ue se saranno sbloccati altri fondi all’Ungheria: “Ci sono negoziati in corso con altri gruppi, anche se ci sono dei dubbi da parte loro, noi facciamo sul serio”. La mozione di censura è un provvedimento con cui l’Eurocamera esprime il proprio parere negativo sull’operato dell’esecutivo e, se approvata, costringe i membri del Collegio dei commissari a dimettersi.
I fondi Ue congelati e scongelati all’Ungheria
Stando ai dati più accurati forniti a maggio 2023 dai servizi della Commissione, i fondi Ue destinati all’Ungheria congelati da Bruxelles si attestavano a 28,6 miliardi di euro, divisi in tre macro-aree: Piano nazionale di ripresa e resilienza (5,8 miliardi), fondi della politica di coesione (22,6 miliardi) e fondi per gli Affari interni (223 milioni). Le tre strade procedono in parallelo, ciascuna con una procedura specifica (o più, in base alla natura dei finanziamenti). La prima considera i “27 super-obiettivi” sullo Stato di diritto stabiliti il 30 novembre dello scorso anno dalla Commissione per sbloccare i fondi del Pnnr dell’Ungheria, ovvero 5,8 miliardi in sovvenzioni. Quanto ci si attende da Budapest è che venga rafforzata l’indipendenza giudiziaria, in modo che le decisioni dei giudici siano “protette da interferenze politiche esterne”.
Il secondo capitolo – decisamente il più complesso – è quello che riguarda i fondi della politica di coesione, che per l’Ungheria valgono complessivamente 22,6 miliardi di euro come finanziamenti dal budget comunitario. Di questi fondi 6,3 miliardi sono stati congelati attraverso il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto per decisione del Consiglio nel dicembre 2022 (e che rimangono congelati). Si tratta di una procedura a sé stante che riguarda il 55 per cento dei fondi destinati all’Ungheria da tre programmi operativi finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), dal Fondo di coesione, dal Fondo per la transizione giusta (Jtf) e dal Fondo sociale europeo Plus (Fse+): ‘Ambiente ed efficienza energetica Plus’, ‘Trasporto integrato Plus’, e ‘Sviluppo territoriale e degli insediamenti Plus’.
Dei restanti 16,3 miliardi, 12,9 miliardi erano vincolati solo all’implementazione delle riforme giudiziarie (senza ulteriori criteri) e si tratta di quelli che sono stati in parte sbloccati da Bruxelles dopo la richiesta di revisione. I restanti 3,4 miliardi sono bloccati per il mancato rispetto delle condizioni abilitanti orizzontali – ovvero le condizioni necessarie per quanto riguarda la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue – in tre controversie tra la Commissione e l’Ungheria: la legge ‘sulla protezione dell’infanzia’ (la legge anti-Lgbtq+), quella sull’indipendenza accademica e quella sul trattamento riservato alle persone richiedenti asilo. La prima questione è responsabile per lo stallo del 3 per cento del budget della politica di coesione (cioè 678 milioni), la secondo del 9 per cento (oltre 2 miliardi) e la terza di un ulteriore 3 per cento (altri 678 milioni). Per sbloccare questi fondi non è sufficiente mettere fine alle questioni legate all’indipendenza del sistema giudiziario (anche se rimane per tutti questi un pre-requisito), dal momento in cui devono essere risolte anche le pendenze riguardanti le altre condizioni abilitanti orizzontali.
C’è infine da considerare l’ultima questione, quella dei 223,1 milioni di euro di tre programmi dei Fondi per gli Affari interni. Come appreso da Eunews a febbraio da fonti interne all’esecutivo comunitario – e poi confermato di nuovo a metà novembre – si tratta di 69,8 milioni dal Fondo Asilo, migrazione e integrazione (Amif), 102,8 dallo Strumento per la gestione delle frontiere e i visti (Bmvi) e 50,5 dal Fondo sicurezza interna (Isf). Nonostante la mancanza di trasparenza della Commissione renda complesso capire esattamente quali fondi siano stati scongelati, fonti vicine al dossier riferiscono che si tratterebbe sia dei fondi Isf e Bmvi (vincolati esclusivamente alle questioni giudiziarie secondo le decisioni di implementazione), sia di quelli Amif legati all’accesso all’asilo (integrazione), mentre rimarrebbero bloccati quelli legati al non-respingimento (rimpatri).