Mentre si conclude con un nulla di fatto il secondo round delle trattative sul debito pubblico greco all’Eurogruppo, parlando davanti alla Direzione nazionale del Pd, il premier Matteo Renzi annuncia di voler fare da “cerniera” tra Atene e Bruxelles. “Allo scorso Consiglio europeo”, racconta, il capo del governo greco “Alexis Tsipras si è presentato dicendo due cose ragionevoli”. La prima è che ha vinto le elezioni sulla base di una alternativa al programma concordato con la Troika dal suo predecessore e quindi obbligarlo a mantenere quel programma vorrebbe dire “che le elezioni in Europa non servono a niente”. La seconda, prosegue il premier, e che “è cosciente che ci sono degli accordi e che non possono essere stracciati”. Sintetizzando, perché “in realtà ci sono anche altre cose”, Renzi riassume la posizione di Tsipras in una richiesta “di più tempo”. Una posizione giudicata ragionevole dall’inquilino di Palazzo Chigi, il quale sostiene che, a questo punto, “serve l’intelligenza dell’Ue, perché si rispettino le regole e si usi la flessibilità”.
A proposito di flessibilità, Renzi torna a rivendicare il merito di aver rilanciato, durante il semestre di presidenza italiana dell’Ue, l’attenzione verso la crescita. Il Piano Juncker per gli investimenti e le decisioni della Bce sul quantitative easing sono, a suo avviso, i risultati più evidenti. E l’acquisto di titoli di Stato dell’Eurozona da parte di Francoforte “ha influito anche sull’attuale rapporto euro/dollaro”, che favorisce le esportazioni. “Se a questo si aggiunge il basso prezzo del petrolio e la ritrovata fiducia degli investitori”, per Renzi ci sono adesso “le condizioni perché la ripresa non sia una rischiarita” in mezzo alla tempesta, ma “un duraturo periodo di sereno”.
Il premier ritiene che “aver inciso” sul nuovo orientamento economico “del continente, mette l’Italia in condizione di essere in pole position per la ripresa”. A patto che si prosegua con le riforme. Infatti, se “grazie al risultato elettorale del Pd” alle europee, “abbiamo la facoltà di procedere con la richiesta di cambiamento” nell’Ue, avverte il capo del governo, “non possiamo recedere di un passo nel percorso delle riforme”. A partire da quelle istituzionali.
Su questo punto, il capo dell’esecutivo si sofferma per alcune considerazioni sui rapporti politici in Parlamento. Dopo l’approvazione degli articoli sulle modifiche della Carta costituzionale, avvenuta con le opposizioni fuori dall’Aula di Montecitorio, il premier ringrazia i suoi deputati, i quali, votando anche di notte, hanno “dimostrato che le forze della palude rimangono impantanate”. Tuttavia, ammette che non è un bene approvare i cambiamenti delle regole democratiche senza neppure la presenza dei partiti di minoranza, e si augura che nei prossimi passaggi – a cominciare dalla votazione complessiva del testo, prevista a marzo alla Camera – lo strappo possa ricucirsi.
Il principale interlocutore rimane Forza Italia. All’interno del partito di Silvio Berlusconi, sottolinea Renzi, c’è “un derby tra chi vuole andare a elezioni quest’anno e chi, avendole scritte con noi, le riforme le vuole portare a termine e arrivare con questa legislatura al 2018”. Sebbene sembri sperare nel prevalere di questa seconda fazione, e inviti i suoi a mantenere una posizione di apertura al dialogo, il presidente del Consiglio ribadisce che “noi andremo fino al 2018 e faremo le riforme anche senza Forza Italia”.
Al di là della sicurezza ostentata, però, la strada è lastricata di insidie. La minoranza dem annuncia l’intenzione di voler apportare modifiche ai testi in discussione. La tenuta della maggioranza, soprattutto al Senato, dove i margini sono molto ristretti, non è poi così salda. In realtà, per la durata della legislatura, l’esito del “derby” in Forza Italia conta più di quanto Renzi non sia disposto ad ammettere. Se si mostra sicuro dell’autosufficienza, è perché, in fin dei conti, ritiene che anche andare al voto non sia un dramma.