I giovani lavoratori europei sono a rischio esclusione sociale. L’assenza di politiche e misure di ampio respiro e riforme del mercato del lavoro approssimative aprono scenari inquietanti. La situazione allora è più grave del previsto, perchè vuol dire che accanto a un problema vero, serio, non esistono cure, o quelle che si stanno tentando sono del tutto inadeguate. E’ l’allarme lanciato dal Parlamento europeo, nello studio “Trattamento differenziato dei lavoratori under 25 con attenzione al loro accesso del mercato del lavoro”, realizzato per conto della commissione Lavoro. Il giudizio complessivo non è dei migliori: i giovani “sono molto spesso sovrarappresentati in forme atipiche di contratto”. Ora, dato che queste posizioni offrono una breve permanenza, i contratti atipici “possono determinare remunerazioni più basse, nessuna garanzia di contratti futuri, e accesso ridotto a sussidi di disoccupazione e pensioni”. Per il Parlamento europeo “tutto questo suggerisce che i giovani nell’Ue sono a rischio di esclusione sociale”, e il quadro della situazione “suscita preoccupazione circa le caratteristiche potenzialmente discriminatorie delle misure concepite a sostegno dell’occupazione” giovanile.
Un problema, se si considera che quello della disoccupazione giovanile “sta diventando un problema strutturale acuto nell’Ue”. In tutta Europa dal 1998 al 2012 i lavoratori di età inferiore ai 25 anni è sceso dal 39% al 31% della forza lavoro, con casi critici in Croazia, Grecia, Italia, Spagna e Ungheria, dove nel 2012 gli under 25 con un impiego sono stato meno del 20% di tutti i giovani. Ma la crisi la pagano i giovani anche in Estonia, Irlanda, e Danimarca: dal 2008 al 2012 la quota degli under 25 con lavoro è diminuita, rispettivamente, del 17,8%, 17,7% e 11,4%. Mentre nel 2014 la situazione ha acquisito dimensioni critiche in Spagna (giovani disoccupati al 51,4%), Grecia, (48%), Croazia (44,8%), Italia (42%), Portogallo (34,5%) e Cipro (32,8%). Serve una svolta, insomma, ma questa svolta ancora non c’è stata, e questo per diversi fattori che il Parlamento Ue evidenzia e su cui suggerisce di lavorare.
La questione dell’offerta. A rendere problematica la condizione dei giovani è certamente anche la cultura alla base delle strategie gestionali e d’impresa. L’imprenditore ragiona da imprenditore, e quindi guarda alla massimizzazione del profitto e alla riduzione dei costi. La conseguenza, rileva lo studio del Parlamento Ue, è una tendenza generale per cui le aziende tendono a preferire i lavoratori più anziani in quanto più esperti e a non trattenere quelli più giovani, inesperti. Poi “se la recessione persiste, i giovani acquistano priorità per i licenziamenti in quanto hanno meno preziosa esperienza e un’indennità di licenziamento più bassa”.
L’Europa degli stagisti. Una dimostrazione di questa attitudine è data dall’uso sempre più inflazionato di stage, tirocini, apprendistati, che restano fini a sé stessi. Durante il picco della crisi economica – denuncia lo studio – i contratti a tempo determinato non sono stati rinnovati dai datori di lavoro, che hanno cercato di ridurre i costi e che ancora sono riluttanti a non offrire contratti a tempo indeterminato. Conseguentemente “è riemersa una tendenza verso tirocini e periodi di prova”.
Differenza tra dire e fare. Le misure prese dai governi degli Stati membri ci sono e, potenzialmente, sarebbero anche buone. Le buone idee però faticano a trasformarsi in buone pratiche. Gli interventi sul mercato del lavoro “hanno effetti potenzialmente positivi, ma altri fattori possono ridurne o modificarne l’impatto”. Ad esempio gli incentivi all’assunzione o la riduzione dei costi non salariali “possono portare a effetti si sostituzione o spostamento aziendale, nonché all’aumento del rischio di un rinvio della disoccupazione”. Allo stesso modo i contratti di lavoro flessibile “possono essere un trampolino di lancio verso occupazioni permanenti”, ma solo a patto che “rientrino in una strategia di impiego di lungo periodo” e “se le norme che regolano i contratti termporanei non lasciano spazi ad abusi da parte dei datori di lavoro”. Le stesse misure inoltre “possono anche condurre a insicurezza lavorativa, con giovani lavoratori che passano da un impiego temporaneo all’altro”.
Contesto generale. “Prese singolarmente le misure a sostegno dell’occupazione non sono discriminatorie di per sé, ma i risultati dipendono dalla correlazione tra le misure stesse e il contesto socio-economico”. Lo studio del Parlamento Ue parte da questa considerazione per ricordare che quanto fatto a livello nazionale – perchè sono gli Stati membri ad essere competenti per le politiche a sostegno del lavoro – non è estraneo dai ‘fattori contestuali’. Un esempio su tutti è rappresentanto dalle politiche di austerità. Queste ultime finiscono per determinare tendenze opposte: tagli di spesa si traduce spesso in tagli dei posti di lavoro, l’esatto contrario del principio di creazione di posti di lavoro. Per cui “durante periodi di austerità queste misure per l’occupazione si scontrano con gli impegni dei governi per la riduzione di spesa pubblica e deficit”.
Il problema della transizione. Un elemento chiave per un giovane è il passaggio dal mondo degli studi a quello del lavoro. Se si può sostenere che in molti casi la situazione degli under 25 dipende da scelte personali, vale a dire dal fatto che singoli studenti – in quanto ancora impegnati con gli studi – preferiscano avere occupazioni temporanee o part-time. Tuttavia, rileva il Parlamento Ue, “non è dimostrata l’efficacia delle forme atipiche di lavoro (a tempo determinato, stagionale, interinale e part-time) nel sostenere la transizione dalla scuola al lavoro”.