Bruxelles – Come andrà a finire è il grande interrogativo e, soprattutto, la grande sfida dell’Unione europea. Ma fin qui la scommessa dell’auto elettrica l’Europa la sta perdendo, e la trasformazione della mobilità è affidata alla Cina. Sono gli effetti del Green Deal, che in materia di mobilità ha finito per spingere il comparto dell’auto elettrica della Repubblica popolare. I dati e le tendenze sono riassunti in un documento di lavoro del Parlamento europeo dedicato al tema, e parlano chiaro: la sostenibilità su strada dell’Europa è ‘made in China’,
L’Ue, con la sua agenda di sostenibilità, ha contribuito a stimolare un mercato di cui non riesce a essere leader, innescando una concorrenza che al momento subisce e che sembra destinata a subire ancora per almeno per i prossimi anni.
A livello globale la vendita di veicoli elettrici “è in forte espansione”. Solo nel 2022 sono stati venduti 10 milioni di veicoli elettrici in tutto il mondo, vale a dire “100 volte di più rispetto al 2012”. Sempre nel 2022, la quota di auto elettriche sul totale delle vendite di auto è passata dal 9 per cento nel 2021 al 14 per cento. L’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) prevede che questa quota raggiunga il 18 per cento nel 2023. Nell’Ue, la loro quota di mercato è aumentata di sei volte dal 2019 (anno di insediamento dell’attuale Commissione che ha varato il Green Deal), raggiungendo il 12,1 per cento nel 2022.
In questa evoluzione dell’industria dell’auto ad attenzione crescente per l’elettrico, la produzione ‘made in EU’ resta tuttavia un problema per via dei costi. “Le aziende europee dominanti hanno difficoltà a realizzare veicoli elettrici redditizi, soprattutto a causa del costo elevato delle batterie”, che rappresenta “tra il 30 per cento e il 50 per cento del costo di un veicolo elettrico”. Uno svantaggio competitivo di cui hanno approfittato altri. “I concorrenti, come la Cina, hanno prosperato in questo contesto, scommettendo sulle auto elettriche”, a riprova di come la partita dell’auto elettrica si stia configurando sempre più come clamoroso autogol per l’Unione europea. “Gli analisti hanno avvertito che le aziende automobilistiche cinesi potrebbero diventare la forza che plasma l’industria automobilistica globale nei prossimi anni”.
L’Ue in sostanza detta la linea, la Cina gestisce processi industriali e catene di montaggio. Si conferma un volta di più, in sostanza, quanto già denunciato più volte nel dibattito politico che ha contraddistinto buona parte della legislatura europea sempre più agli sgoccioli: la transizione verde dell’Europa passa per Pechino, che guadagna dalle scelte degli europei. Inevitabile, considerando che circa il 65 per cento delle celle delle batterie e quasi l’80 per cento dei catodi sono prodotti nel Paese asiatico.
Il risultato delle scelte a dodici stelle è che nel 2022, il 35 per cento di tutte le auto elettriche esportate a livello globale proveniva dalla Cina, 10 punti percentuali in più rispetto all’anno precedente. In attesa dei dati consolidati c’è la seria possibilità che nel 2023 la Cina sia “destinata a diventare il primo esportatore mondiale di automobili elettriche, soprattutto verso Europa e Asia”. L’UE, dunque, ha finito con l’affidare la propria transizione verde su strada ai cinesi.
Servirà, per invertire la rotta, certamente più spesa UE in ricerca e sviluppo. Perché se è vero che sull’Unione grava il problema delle materie prime che servono alle auto alternative a quelle benzina e diesel, è anche vero che laddove l’Europa potrebbe fare di più non si sta facendo. “La maggior parte delle aziende europee è ancora in ritardo nell’innovazione dei veicoli elettrici”, il che si traduce nel fatto che “nessuna azienda europea è un innovatore di punta nell’architettura software, nella connettività o nella guida autonoma”. Un altro fattore che gioca a favore di Pechino.
Uno sforzo industriale da accompagnare con uno sforzo politico. Per prosperare e soprattutto sottrarsi al peso della concorrenza cinese, il settore dell’auto elettrica europea “deve avere un accesso sicuro a batterie e semiconduttori a prezzi accessibili, migliorare le proprie capacità di innovazione nelle nuove tecnologie, ridurre i costi e adottare un approccio più circolare, in particolare per recuperare materie prime critiche”. Il documento di lavoro del Parlamento europeo identifica ciò in cui si è infilata l’UE, un non semplice tentativo di trasformazione economica divenuto ancora più complicato.