I cosiddetti foreign fighters europei sono “circa 5 mila”. “Sono espatriati, ricevono addestramento militare, combattono e talvolta perdono la vita in Siria, ma anche in Afghanistan, Yemen, Mali, Somalia e altri paesi”. Lo racconta il vice direttore di Europol Eugenio Orlandi, alla commissione Schengen del Parlamento italiano, dove ha spiegato che l’agenzia di polizia europea “si è mossa nell’aprile 2014, attivando un gruppo di lavoro sui foreign faighters perché ci interessa seguire i loro spostamenti, vedere dove vanno e quando tornano”.
Orlandi ha precisato che “Europol non ha poteri coercitivi”, ma si limita a eseguire “un brokeraggio di informazioni”. In sostanza, raccoglie e analizza dati che poi mette a disposizione degli stati membri. Ad esempio, ha proseguito il vicedirettore, “il contributo più importante che Europol ha dato alla Francia – in occasione dei fatti di Charlie Hebdo – è stato trovare 62 transazioni finanziarie con il sistema swift, su richiesta della Francia nella giornata stessa dell’attentato, che sono state fondamentali per costruire una rete delle persone coinvolte”.
Un ruolo, quello di Europol, che sebbene non direttamente operativo può risultare fondamentale. Ecco perché Orlandi non comprende la “ritrosia da parte delle unità di antiterrorismo, che molto spesso non dialogano molto con la polizia per fornire dati”. Questo perché “molti paesi confidavano nella loro capacità di fare intelligence da soli, soprattutto la Francia e l’Inghilterra”. Un atteggiamento destinato probabilmente a cambiare, vista anche la quantità e la pericolosità dei Foreign fighters.
Sulla base del rapporto sul terrorismo preparato annualmente da Europol, il vicedirettore ha indicato che storicamente ci sono “circa 500 attentati all’anno in Europa”, aggiungendo che se “in passato erano gruppi separatisti” i principali responsabili, adesso è “il terrorismo con motivazioni religiose” a crescere. Inoltre, per Orlandi, “se c’era un posto in Europa dove si aspettava che succedesse qualche cosa era la Francia”, visto che dei 500 attentati annui, “nel 2013 ben 225 sono avvenuti” proprio in quel Paese.
Orlandi ha poi sottolineato la differenza sostanziale tra Europol e il sistema informativo Schengen, descrivendo il secondo come “uno scudo per proteggere da chi viene” nell’area Schengen, e “non un sistema per tracciare le persone che sono all’interno”. Parlando della compagna di Amedi Coulibaly, l’attentatore del supermercato ebraico di Parigi, Orlandi ha evidenziato che “la guardia di frontiera spagnola che nell’aeroporto di Madrid ha visto quella persona in partenza, non aveva nessun motivo per fermarla”. Questo perché i dati raccolti dal sistema Schengen non vengono usati per individuare reti di relazioni, cosa che accadrebbe “se quei dati venissero forniti a Europol”.
Sempre a proposito di dati, il vice direttore ha lamentato il fatto che “mantenerli per 3 anni è una durata minima” perché, ha aggiunto, “spesso le cellule terroristiche possono restare dormienti per più di 3 anni”. Dunque il vice direttore auspica un cambiamento, ammettendo che “con miglioramenti legislativi si possono risolvere” diverse criticità. Starà alle istituzioni europee e agli stati membri trovare le giuste risposte, mantenendo un equilibrio tra le libertà e il diritto alla sicurezza.