Il prossimo 29 gennaio, il Parlamento in seduta comune, insieme con i grandi elettori, si riunirà per il primo scrutinio sulla scelta del successore di Giorgio Napolitano al Quirinale. Il totonomi che in questi giorni impazza sulla stampa italiana rischia di essere un esercizio fine a sé stesso. Tanto più che il premier Matteo Renzi, cui spetterà di avanzare le proposte in qualità di leader del Pd e detentore del pacchetto più ampio di grandi elettori, ha dichiarato di voler fare il nome del suo candidato al Colle solo il giorno prima dell’inizio delle votazioni.
Dopo la guida molto presente ed europeista di Napolitano il Colle potrebbe recitare un ruolo ‘pesante’ nei rapporti tra l’Italia e l’Ue, soprattutto adesso che il premier italiano si sta battendo per “cambiare verso all’Europa”.
Il presidente, ormai emerito, Giorgio Napolitano si è fatto in più occasioni garante del rispetto delle richieste provenienti dalle istituzioni europee. E’ stato regista del passaggio di testimone a Palazzo Chigi, tra Silvio Berlusconi e Mario Monti, per consentire che i sacrifici imposti dall’Europa al nostro Paese fossero realizzati con un maggiore consenso rispetto a quello che avrebbe avuto il leader del centrodestra (tra lo scandalo Ruby e i processi, poi sfociati in una condanna per evasione fiscale, i sondaggi davano Berlusconi al minimo storico). Ha spinto con forza perché l’Italia realizzasse quelle riforme strutturali che Bruxelles pretende per allentare i lacci del Patto di stabilità, tanto da subordinare proprio alla realizzazione delle riforme l’accettazione del suo secondo mandato. Non ha mai perso occasione di attaccare “l’antipolitica” che si è “confusa con l’antieuropeismo”, spingendosi talvolta forse oltre i confini della sua figura super partes, pur di difendere il percorso di integrazione europea messo in discussione dal Movimento 5 stelle e dalla Lega Nord.
Un ruolo forte, dunque, quello di Napolitano. E altrettanto forte, nel garantire una continuità nell’impegno europeista dell’Italia, dovrà essere il suo successore. Al di là delle forze politiche che lo eleggeranno, il nuovo inquilino del Colle dovrà essere apprezzato e stimato anche in sede Ue, tanto dalle istituzioni comuni quanto dagli altri partner. E’ necessario soprattutto per il premier Renzi, il quale deve poter contare su un presidente autorevole a livello europeo per avere un sostegno forte – che Napolitano non ha mai mancato di fornire – per portare avanti il suo tentativo di “cambiare verso all’Europa”, abbracciando politiche più orientate alla crescita e meno soffocate dal rigorismo sui conti pubblici.
Dal punto di vista dell’Ue, quindi, il nuovo capo dello Stato dovrà soprattutto garantire lo stesso impegno di Napolitano nella spinta per le riforme. Dovrà essere in grado di fare sentire la propria voce perché le forze politiche portino a termine il percorso già avviato. Dovrà però essere anche in grado di garantire che l’Italia, orientandosi alla crescita, non faccia eccessive deviazioni sulla strada del risanamento dei conti pubblici, attirandosi in questo modo non solo le ire della Germania e dei Paesi più inclini al rigore, ma anche sanzioni da parte di Bruxelles. Una figura che all’occorrenza, quindi, possa richiamare all’ordine la politica, come fece Napolitano chiamando (imponendo, di fatto) Monti a Palazzo Chigi.
Sui nomi per il Quirinale fare pronostici è cosa ardua. Tuttavia, qualche indicazione dal dibattito tra le varie forze emerge. Tra i papabili ci sono due figure che si avvicinano di più al profilo europeo appena descritto. La prima è quella di Romano Prodi, che è stato presidente della Commissione europea e, prima ancora, da presidente del Consiglio mise una ‘eurotassa’ per consentire all’Italia l’ingresso immediato nell’Euro. Il professore ha annunciato di essere fuori dai giochi, ma sul suo nome, oltre ai voti del Pd, potrebbero convergere quelli di Sel e del M5s, con Berlusconi che non ha ancora espresso un veto, al contrario di quanto fece nel 2013.
C’è poi Giuliano Amato. Non molto amato dagli italiani, a dispetto del cognome, perché impose un prelievo sui conti correnti dei cittadini per rispettare i parametri di Maastricht. Precedente che costituisce un’ottima credenziale verso i partner europei più attenti ai conti in ordine. Il suo nome è quello più gradito a Berlusconi tra i candidati di centrosinistra, e dunque potrebbe essere la miglior conferma del patto del Nazareno tra il leader di Forza Italia e il premier, patto sul quale si basa anche la prosecuzione del percorso di riforme.
Un terzo nome, che si sussurra più a bassa voce (segno di una maggior concretezza della candidatura?) è quello di Ignazio Visco. L’attuale numero uno di Bankitalia non ha mai mancato di sottolineare la necessità delle riforme per far ripartire il Paese. Inoltre, lavora fianco a fianco con il presidente della Bce Mario Draghi (anche lui indicato tra i papabili per il Quirinale, ma ha più volte ribadito di voler rimanere a Francoforte) quindi conosce perfettamente tanto l’importanza di avere conti pubblici in ordine, quanto quella di stimolare l’economia per garantire la crescita. Anche su Visco, l’asse per portarlo al Colle sarebbe quello composto dalla maggioranza di governo con il contributo di Forza Italia.
Se il prossimo presidente che occuperà il Quirinale sarà Prodi, Amato, Visco o un altro nome su cui ancora non si sono accesi i riflettori, è ancora presto per dirlo. Certo è che l’Europa osserva con attenzione.