Bruxelles – Si annuncia un vertice “complicato” quello di fine anno e che vedrà i capi di Stato e di governo dei Paesi dell’UE confrontarsi su temi tanto complessi quanto delicati. Non è un caso che fonti diplomatiche non facciano mistero di una posizione di partenza tutt’altro che delle migliori. Allargamento e revisione del bilancio comune, da soli, sono punti all’ordine del giorno che vede l’Europa degli Stati se non procedere proprio in ordine sparso certamente con visioni molto diverse. A cominciare dal processo di adesione all’UE.
Sull’Ucraina membro dell’Unione c’è un consenso di principio generale per cui sarebbe cosa buona avviare i negoziati, come raccomandato dalla Commissione a inizio novembre. “Se non avviamo i negoziati adesso facciamo un danno politico e morale enorme”, ragionano a Bruxelles, e non a torto. A Kiev è stato promesso tanto, probabilmente troppo, e questa è un’altra storia. Ma non andare avanti finirebbe col miniare le credibilità dell’Unione europea. Viktor Orban e la sua Ungheria frenano. Al momento solo Budapest pone un fermo ‘no’ all’avvio dei negoziati. Ma ci sono anche quelli che, attorno al tavolo, vorrebbero legare l’adesione ucraina a quella della Bosnia-Erzegovnia. E’ il caso dell’Austria, e anche della Slovenia. Da delegazioni non italiane filtra il messaggio che l’Italia sarebbe pronta a puntare i piedi per Sarajevo. Smentite e precisazioni arrivano a stretto giro.
L’Italia non bloccherà il percorso di avvicinamento dell’Ucraina all’Ue. Anzi, la presidente del Consiglio intende ribadire il proprio benestare all’avvio dei negoziati con Moldova e la concessione dello status di candidato alla Georgia. Allo stesso l’Italia lavorerà perché anche ad altri pretendenti siano concessi i giusti riconoscimenti del caso. “I Balcani occidentali sono importanti, soprattutto per l’Italia, non meno dell’Ucraina”, confidano fonti Ue. In quest’ottica l’Italia sostiene “fermamente” il cammino europeo della Bosnia Erzegovina, e si farà attenzione a concedere qualcosa. Magari, questa l’idea di proposta sul tavolo, avviare negoziati sulla fiducia: anche se Sarajevo non ha proprio tutte le carte in regole, si confida che col tempo necessario si faranno le riforme del caso.
La lettura italiana, oltre che di interesse, è di visione e di opportunità. Si vede nella repubblica Srpska, l’entità serba di Bosnia, una spinta anti-europea che porta verso Mosca. Legittimare il resto del Paese potrebbe controbilanciare le pulsioni filo-putiniane di una parte del Paese. Al netto di questo, lo scambio di accuse sull’allargamento offre il senso della difficoltà di un vertice in salita.
Ci sono divergenze anche per quanto riguarda la proposta di revisione del bilancio, che la Commissione valuta in circa 66 miliardi di euro. Anche qui l’Italia non ha intenzione di far saltare il tavolo, ma si contrappone a quanti – Paesi Bassi, Danimarca, Finlandia, Austria e anche Germania – vorrebbero mettere risorse fresche solo per lo strumento di sostegno finanziario all’Ucraina. Perché, per l’Italia, ci sono altre priorità, prima fra tutte l’immigrazione. I frugali che chiedono di dirottare risorse da programmi esistenti (ricerca, investimenti) per le necessità individuate da Commissione e Stati membri non sono clienti facili. “Il negoziato inizia adesso”, sintetizza brutalmente chi questo dossier lo segue da vicino.
Sul revisione del bilancio comune pesa anche la politica decisa e restrittiva della BCE contro l’alta inflazione. Si pone il problema della copertura dei costi per l’aumento dei tassi di interesse sui prestiti di NextGenerationEU, il programma di ripresa post-pandemico per cui l’UE ha iniziato a emettere titoli di debito comune. Le coperture per il 2024 ci sono, ma vanno trovate per il 2025 e il 2026. Ci sono in ballo circa 5 miliardi in più all’anno, a bocce ferme, e c’è la necessità di risultare credibili agli di mercati e investitori. E c’è chi non esclude che il confronto su questo punto possa anche iniziare dal ragionamento sui tassi.
Nella non semplice partita si inserisce anche la crisi in Medio Oriente. Il diritto di Israele a esistere e difendersi dagli attacchi terroristici non è in discussione. Così come non c’è dubbio, attorno al tavolo, che Hamas resta un’organizzazione terroristica e come tale l’UE la considera. I Ventisette sono divisi tra la necessità di un cessate il fuoco subito e chi vuole aiutare senza impedire però di estirpare Hamas. La ricerca della sintesi, e del giusto linguaggio, appare possibile ma tuttavia poco alla portata. Anche in questo caso il dibattito rischia di durare molto.
Per il governo italiano, e ci si attende che Meloni lo metterà in chiaro, la migliore risposta alle azioni di Hamas, giudicate “inaccettabili” deve essere un nuovo impulso politico verso la soluzione dei due Stati. Ciò presuppone, accanto alla sicurezza per lo Stato ebraico, garantire un orizzonte politico solido al popolo palestinese.
Gli Stati membri dell’UE si presentano al punto di partenza di un negoziato davvero complicato. Non si escludono interruzioni diffuse e continue, pause, incontri bilaterali o in formati allargati ristretti. Non è un caso l’invito ai leader del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, a “presentarvi dotati di spirito di compromesso, senso di responsabilità collettiva, con gli interessi e i valori dell’Unione in primo piano”. Un invito che mette in luce le tante diversità di questa Europa.